Anna Mossuto


Prima gli avvisi di garanzia, poi gli arresti. Per scoprire un sistema malato, asservito all’interesse di pochi, funzionante grazie alla violazione delle regole e finalizzato a intascare mazzette.
L’inchiesta sugli appalti pubblici è centrata, per ora, sull’intreccio tra pezzi di economia ed esponenti della burocrazia.


E’ la prima volta che a Perugia viene messo a nudo un meccanismo che, se confermato, ha alterato per anni il mercato imprenditoriale mortificando il funzionamento e il prestigio di un’istituzione. Si è trattato, secondo quanto si evince dall’ordinanza di custodia cautelare, di un ingranaggio patologico piegato e al servizio di un sistema collaudato secondo il quale gli appalti pubblici venivano pilotati a vantaggio delle solite e note aziende.
L’epicentro è stato individuato nel Palazzo della Provincia ma il rischio è che il movimento tellurico giudiziario si espanda e coinvolga altre situazioni, altri soggetti, altre amministrazioni.
Una cosa è certa, prima di dilungarsi in altri ragionamenti. Dopo questa vicenda, che cade un anno prima delle elezioni amministrative, nulla sarà uguale a prima. Quest’appaltopoli segna uno spartiacque, un confine tra il passato e il futuro. E se si pensava di nutrire ancora qualche resistenza sulla necessità di rinnovare la classe dirigente ora non ci dovrebbero essere più alibi e tanto meno perplessità.
Di sicuro la magistratura ha sollevato il coperchio su una pentola dentro cui si annidava un modello viziato che fa emergere un’economia per nulla sana. L’inchiesta dovrà innescare un procedimento che non sarà solo giudiziario, ma dovrà investire i partiti e dovrà costringere i suoi rappresentanti a un esame di coscienza serio e senza infingimenti. Si, perché se l’economia di questa regione è sofferente, la politica non sta tanto meglio. E se prima del “ciclone” poteva non sapere e non vedere, ora dopo le manette non può nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che nulla sia successo.
Ma veramente la politica ignorava quello che accadeva, se quello che accadeva era un’associazione per delinquere che si spartiva le gare d’appalto con la compiacenza di funzionari che avevano il proprio tornaconto?
Le accuse contestate non sono bruscolini, sono reati gravi che pesano come macigni e che denotano, come scrive il pubblico ministero, uno “scenario a dir poco sconcertante, consolidato da tempo immémorabile, dai contorni e dalle proporzioni che superano di gran lunga le aspettative di chiunque”.
Quest’inchiesta è forse più grave di una tangentopoli che investe i partiti o i singoli politici perché colpisce al cuore un’ istituzione, ne mina la credibilità, il prestigio, il funzionamento. Un’istituzione che dovrebbe curare gli interessi dei cittadini, che è eletta direttamente dai cittadini.
Torniamo al dilemma se la politica sapeva o non sapeva. Secondo l’opposizione, che lo ha scandito a chiare note, il mondo politico non poteva e non può ignorare quello che succedeva e succede nei palazzi, non può ignorare quello che facevano o fanno i propri dirigenti. Ma anche se fosse vero, e il beneficio va riconosciuto fino a prova contraria, che i politici non erano a conoscenza di come venivano gestiti gli appalti, del collegamento tra dirigenti e imprenditori, questo non depone a loro favore. Come ha detto il presidente della Provincia Giulio Cozzari “la politica fa delle scelte e queste sono attuate dai dirigenti e dagli uffici”. Sì, ma i politici, gli amministratori non hanno il compito di controllare se tutto fila liscio, se le gare sono indette nel rispetto delle norme, se i dirigenti sono scrupolosi nell’esercizio del loro dovere? E’ una domanda questa che si pone qualsiasi uomo della strada nell’apprendere quello che è accaduto in questi giorni a Perugia. Che non sottintende nulla se non un richiamo di responsabilità oggettiva dal punto di vista politico. E tanto meno vuole coinvolgere nessuno sul piano giudiziario se non sono state accertate condotte illecite.
A Cozzari va riconosciuta un’onestà intellettuale perché nelle sue dichiarazioni non ha tentato di sminuire o ridurre la dimensione dell’evento, anzi ha parlato di “squarcio inimmaginabile” e di “bufera che ci colpisce in pieno”. Ma qualche dubbio sulla gestione politica della vicenda permane. Non ha preteso le dimissioni del suo assessore raggiunto da un avviso di garanzia, non ha sostituito i dirigenti all’indomani delle perquisizioni il 28 maggio scorso. E’ vero che l’assessore avrebbe potuto fare un passo indietro e sarebbe stato un bel gesto perché in politica l’irreprensibilità deve essere ancora un valore. L’obiezione è di un altro tipo, e cioè che l’avviso di garanzia non è e non può essere considerato sinonimo di condanna. Ci mancherebbe altro, questo vale per chiunque. Ma forse in politica esiste anche un altro criterio, quello dell’opportunità ad esempio. E questo vale sia per chi è coinvolto che per il partito che lo appoggia, il Pd. Continuando, quando l’inchiesta dagli avvisi e passata agli arresti, che ripetiamo non hanno riguardato l’assessore in questione, bensì dirigenti dell’ente e imprenditori, la soluzione trovata l’altro ieri e ufficializzata ieri è qualcosa che ha le sembianze di un pastrocchio. A parte l’inciso del giallo delle deleghe di tre assessori anziché di uno (che c’azzeccavano gli altri due? direbbe Di Pietro) che sono state comunicate dal Pd, partito di riferimento degli assessori, e poi rimangiate nel giro di mezz’ora, non è tanto chiara la decisione di far restare in giunta un assessore spogliato delle competenze. Quale sarà il suo ruolo? Quello di fare numero e basta.
L’inchiesta sugli appalti pubblici ha creato disorientamento a tutti i livelli, sia nei partiti di maggioranza che in quelli di minoranza. Nei primi l’ultima prova è stato il citato giallo delle deleghe “3 per 1” oltre al nervosismo imperante, nei secondi la frenesia disorganizzata nel convocare revocare conferenze stampe, nell’inviare comunicati a go gò a firma di questo o quel consigliere quando era già stata fissata una riunione del Pdl per commentare gli aspetti politici della vicenda. A proposito della conferenza stampa di ieri mattina di tutto il vertice del Pdl, notata l’assenza dei due coordinatori regionali Luciano Rossi (Forza Italia) e Alfredo De Sio (An). Forse avevano cose più importanti da fare che esprimere la linea politica in merito ad appaltopoli.
Comunque, di sicuro, quest’inchiesta segna un punto di non ritorno e la politica, tutta, farebbe bene a farsi un bell’esame di coscienza.
Anna Mossuto anna.mossuto@edib.it

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