«SERATA D’ADDIO»
di SOFIA COLETTI
— PERUGIA —
IL CONFINE è quello sottilissimo, impalpabile, tra la provocazione ironica e la confessione disarmante e disperata. Paolo Villaggio si conferma un magnifico istrione, incapace di separare la comicità dalla tragedia, anche quando racconta lo spettacolo teatrale che lo vedrà protagonista indiscusso all’Esperia: è «Serata d’addio» che l’attore metterà in scena mercoledì prossimo alle 21.15 nell’ambito della stagione di prosa di Bastia organizzata dall’Atmo e dal Comune. Ancora aperta la prevendita dei biglietti (prezzi a 20 euro per la platea, 18 la galleria) con informazioni allo 075/80.11.613 oppure 80000.56. «Serata d’addio» è un viaggio tra la ribellione, la solitudine e la travolgente carica grottesca di un uomo, basato su tre atti unici, due di Cechov, l’ultimo di Pirandello che Villaggio ha rielaborato alla sua maniera.
Allora, come sarà “Serata d’addio”?
«Voglio subito sottolineare che il titolo lo ha voluto l’impresario, perché è di forte impatto e appeal e sembra suggerire che questo sarà il mio ultimo spettacolo. Cosa che ovviamente spero non sia vera. Quanto ai tre atti, più che rielaborarli, li ho completamente riscritti. Sono diventati un’altra cosa e mi piacciono molto di più».
E cosa raccontano?
«Il primo, il più moderno, è un atto d’accusa contro i danni provocati dal fumo, affronta temi attualissimi come la salute, le cure e l’accanimento terapeutico. Nel secondo racconto invece l’addio alle scene di un vecchio teatrante che passa in rassegna i momenti felici e quelli più tristi della sua carriera. La scena è vuota, io e un baule».
Nell’ultimo si parla di morte?
«Già, è quello che nasce da “L’uomo con il fiore in bocca” di Pirandello. Mi piace perché il personaggio, alle prese con l’idea della morte, si libera di tutte le paure e i problemi, comincia a volare e diventa talmente libero che ha alla fine ha voglia di morire e di abbracciare questa bellissima donna vestita di bianco».
Allora è soddisfatto?
«Lo spettacolo è molto carino, lo garantisco io che odio il teatro, così pieno di imitatori televisivi. E anche il pubblico…».
Ma non le piace recitare a teatro?
«Direi che mi fa schifo, è faticoso e non gratificante. Lo faccio per i soldi perché ho sperperato tutto quello che avevo guadagnato al cinema e perché ho raggiunto l’autorevolezza, la rispettabilità e l’affetto un po’ patetico della vecchiaia. I miei amici Gassman e Depardieu mi dicevano: “sarai felice quando farai teatro”. E invece…».
E allora cosa le piace?
«I miei libri su Fantozzi, ne ho scritti oltre dieci con un linguaggio molto innovativo. Ecco, scrivere è la cosa che rimpiango di più visto che continuo a farlo ma ho uno stile molto più melanconico. E poi c’è una cosa che mi infastidisce davvero».
E quale è?
«Il poco tempo che ho davanti, il fatto che non vedrò il Ponte di Messina. Mi piacerebbe poter interrompere tutto, di colpo, e risvegliarmi lucido e integro tra migliaia di anni. Per capire i misteri dell’universo e rivedere mia moglie da giovane, una mattina sulla spiaggia».
Ma oggi c’è ancora posto per Fantozzi?
«Ci sarebbe ma manca la voglia. Perché Fantozzi faceva ridere in una dimensione tragica, senza volgarità e parolacce mentre adesso i giovani pensano solo allo sballo del sabato sera, senza valori né ideali».
Contento di tornare in Umbria?
«Io vengo molto spesso a Perugia. E’ una bella città piena di giovani e stranieri e con un grande sistema di scale mobili».
Bastia
teatro Esperia
mercoledì ore 21.15
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