di VITTORIO FELTRI


Ieri “la Repubblica” ha pubblicato in prima pagina la lettera di un lettore, Claudio Poverini di Roma, che vale più di un trattato sociopolitico. Il titolo è già un programma: “Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista”. Merita subito un commentino. Perché in quattro o cinque parole c’è un condensato di pregiudizi che nessuna altra sintesi potrebbe esprimere con pari efficacia. Poiché uno è di sinistra e ha votato per l’Unione, si domanda con angoscia come sia possibile provi sentimenti classificabili alla voce razzismo. Già questo la dice lunga sulla mentalità di certi progressisti, convinti che il razzismo non sia roba loro, semmai della destra. Qui siamo di fronte a pura ignoranza. Infatti il razzismo è come la violenza, un seme che germoglia in molti uomini a prescindere perfino dalla religione, figuriamoci dalle posizioni politiche e ideali. Stalin si accanì sugli ebrei quanto Hitler, solo che questi, a differenza dell’altro, non essendo comunista dovette fare i conti col comunismo. Mentre il dittatore sovietico, chiuso nella propria cortina di ferro, fece il comodo suo e morì nel letto senza che qualcuno gli chiedesse spiegazioni. Provarci. Negli Stati Uniti e in Sudafrica non c’è mai stato né nazismo né comunismo eppure i negri non si sono trovati benissimo. Nella ex Iugoslavia, i serbi di Milosevic si sono gettati con foga nella pulizia etnica in Kosovo. Questi esempi forse bastano. E rieccoci alla missiva cui la Repubblica ha dato rilievo. Il testo conferma il titolo ed entra in particolari interessanti. Inizia così: «Gentile Augias (il curatore della rubrica di corrispondenza: n.d.r.), ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri, mi interesso di politica, leggo ogni giorno due quotidiani, guardo in Tivù Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, l’importanza dell’istruzione, delle buone letture e dello studio, l’etica del lavoro e del sacrificio per ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita… A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo…». Poi il signor Poverini si sforza di approfondire. «Di fronte agli stupri che avvengono, frequentemente, in varie città italiane, mi chiedo: e se io stuprassi una giovane araba alla Mecca o a Casablanca; se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto? Perché devo essere sempre buono ed accogliente con i nomadi, ahi, tasto dolentissimo e pericolosissimo, quando questi rubano, si ubriacano, violano la mia casa e la mia intimità, quando rovistano nei cassonetti e buttano tutto fuori, quando mendicano con cattiveria e violenza, quando bastonano le immigrate che rifiutano di prostituirsi, quando sbattono i bambini in strada o mandano i figli a scuola coi pidocchi? Perché se chiedo l’espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a Eichmann?». Mi pare che il problema sia stato ben descritto, e mi pare altrettanto evidente che Poverini sia in buona fede. Egli racconta come abbia aderito alla sinistra convinto che solo l’Unione rappresenti il bene, la tolleranza, il rispetto per la cultura, per le buone cose della vita, e che la destra invece sia l’esatto contrario, il male, l’egoismo, il disprezzo del prossimo, l’ignoranza, il mito della ricchezza, insomma un impasto di schifezze da cui nasce il razzismo e dal quale teme di essere stato contagiato. Non gli passa per la testa neppure il sospetto di essersi lasciato sedurre non tanto dalle idee progressiste quanto da una interpretazione conformistica di esse, dall’illusione – alimentata dalla gente di sinistra – che sia sufficiente contrastare Berlusconi e similari per entrare di diritto in una sorta di club delle anime belle, dei colti, dei raffinati, dei buoni, anzi dei buonisti, amanti della pace e via banalizzando. Non gli passa per la testa perché questa è la mentalità corrente, dopo anni e anni di martellamenti propagandistici, di informazione edulcorata, televisione idiota, cinema vacuo, pubblicità piena di messaggi subliminali, sciocchezze spacciate per oro colato, letteratura (si fa per dire) autoreferenziale promossa dai soliti compari. La cosa sorprendente però è un’altra. Poverini si sente quasi in colpa perché è infastidito dall’illegalità diffusa e ha paura che il suo stato d’animo riveli un fondo razzista; in realtà la sua è una legittima aspirazione a vivere in un Paese che prevenga e combatta la criminalità in genere, non soltanto la criminalità d’importazione. Ecco dove ci ha portato il buonismo sfilacciato della sinistra: a considerare razzista chi desidera il ripristino dell’Ordine pubblico, chi è d’accordo nel perseguire i clandestini, chi difende la cultura cristiana e i suoi simboli, chi pretende dagli ospiti l’osservanza dei Codici. Siamo al rovesciamento dei valori, tra i quali l’Ordine pubblico e la legalità hanno un posto di primo piano. E la destra è guardata con astio e disgusto perché non è accomodante, o non vorrebbe esserlo, con i delinquenti di ogni estrazione e di ogni nazionalità. Intendiamoci, la nostra destra non ha brillato nella lotta ai farabutti come ha brillato in altri campi; ma almeno, a livello di principî, non predica l’esigenza di accogliere tutti e di tenerseli indipendentemente dalla loro condotta e dallo stato della fedina penale. L’Unione paga il prezzo della parentela che ha voluto allacciare con i comunisti per battere Berlusconi, il nemico da sconfiggere a qualsiasi costo. E il retaggio comunista ha un peso enorme, sbilanciante. Il vecchio Pci era persuaso che tutto sommato i criminali fossero giustificati da ragioni sociali: la povertà, l’ignoranza, la necessità di sopravvivere. Ovviamente schematizzo. Comunque in Rifondazione e nei Comunisti italiani la sociologia del giustificazionismo è ancora influente, tanto è vero che i noglobal, i disubbidienti, i brigatisti di risulta fanno parte dell’elettorato dei due partiti citati, in cui vedono una sorta di ala protettrice. È chiaro che una coalizione a forte colorazione rossa ha difficoltà a imporre rigore nella gestione del fenomeno immigrati, i quali costituiscono un serbatoio inesauribile di delinquenti per il semplice motivo che sono gli ultimi arrivati. Premier e ministri sono in imbarazzo: avvertono l’esigenza di calcare la mano, ma non ci riescono per il freno esercitato dalla sinistra massimalista. Imbarazzo emerge anche dalla prosa di Corrado Augias incaricato di rispondere alla lettera di Poverini. Augias si arrampica sui vetri: «Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un problema grave per l’equità della nostra convivenza». Se non è più di destra – come confessa Augias – vuol dire che fino a ieri lo era. Quindi non era di de- stra «ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un problema grave per l’equità della nostra convivenza». Involontariamente l’editorialista de “la Repubblica” afferma quindi che la sinistra ha sbagliato. Però, siccome si tratta di lapsus, subito Augias si ingarbuglia: «Non è di destra sostenere che l’immigrazione dev’essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili… Non è di destra reclamare una cultura della legalità che valga per tutti… Non si possono lasciare impegni così delicati alla destra che li assolverebbe a modo suo, con brutalità cieca…». In pratica non è di destra ma di sinistra imporre l’ordine pubblico e la legalità. Il ragionamento di Augias è di rara confusione, non sta in piedi. Era più semplice dire. La sinistra ha commesso troppi errori e ha l’obbligo di cambiare registro nella tutela della legalità. Anzi. Aveva ragione la destra quando proclamava di volerla tutelare, ma non ce l’ha fatta. Non perché fosse brutale (quando mai il centrodestra lo è stato) ma perché incapace. E la sinistra sta peggiorando le cose perché è ricattata dai massimalisti. Non è così caro Corrado? Chi ha mandato gambe all’aria i banchetti di Mariotto Segni che raccoglieva le firme per il referendum? Chi si è scagliato su di lui? Te lo dico io. Quelli di Rifondazione. Non ti fidi di me? Leggi Francesco Merlo sul tuo giornale. A proposito di brutalità. In Francia, non appena la destra aveva vinto, cos’ha fatto (parte) della sinistra gentile e buonista? È scesa in piazza – in barba alle regole della democrazia – a bruciare auto. Una simpatica protesta. I violenti sono tra di voi, compagno Augias.

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