Grande esibizione a Costano
STEFANO RAGNI
COSTANO – Si materializza in questa ariosa aula che sa di buon governo musicale l’ombra di Sissi imperatrice.
Si abbandona all’onda del valzer sulle note di Strauss, Rose del sud e danza degli amanti. E il ritmo ternario, che nella sua accezione viennese è sempre pomposo e un po’ marziale, ci ricorda che, rigorosamente parlando, l’imperatore Francesco Giuseppe finì di regnare alla morte di Johann Strauss. Musica della Felix Austria, quando il Danubio che è giallo e fangoso lo si voleva vedere a tutti i costi bello e blu e gli ufficialetti bianco vestiti, piuttosto che andare a caccia di emozioni nelle lande del deserto dei tartari, preferivano sciamare intorno alle belle dame viennesi, vantando sangue nobile da operetta. Era lo stesso valzer che, nella Francia dei grandi poeti romantici, profumava di Chopin: De Vigny e de Musset lo concepivano tenero e voluttuoso, Hugo, con morboso compiacimento, lo definiva lascivo per quella frenesie di mani che cercano mani, in un abbraccio
carnale che faceva battere il cuore. Un virus sottile che avvolgerà nelle sue spire l’intera Europa fino a vederla impallidire, languente di agonia, nel valzer del Cavaliere della Rosa di Richard Strauss. Il piacere dell’ebbrezza della Belle Epoque rivive in questo delizioso pomeriggio promosso dalla Libera Università di Bastia. Nel piccolo palazzotto della musica di Costano, invidiabile struttura comunale che, col suo spazio luminoso, assolve con funzionalità a manifestazioni di carattere divulgativo, si schiera il Quintetto Bottesini. Lo anima la giovane
pianista Linda di Carlo, un non dimenticato bel diploma al Conservatorio di Perugia, oggi ottima professionista ad ampio raggio cameristico. Intorno a lei l’anomala formazione d’archi che, dalla presenza del nonno dell’orchestra, prende il nome dal grande contrabbassista cremasco Giovanni Bottesini, uno dei più importanti musicisti operanti nel cono d’ombra di Verdi. Formazione ideale per tramandare il passo e il metro dell’antica danza, ma anche per ridestare i languori dell’altro ballo che, agli inizi del secolo, si affermò in Europa a contrastarne l’egemonia. Veniva dai bordelli di Buenos Aires e piaceva a Hugo Pratt, che di quei locali malfamati affermava di intendersene parecchio. Quando arrivò nel vecchio continente devastato dalla febbre spagnola fu paragonato a un flagello divino per la alta carica di immoralità. Se all’inizio, nel locali portegni, lo avevano ballato i soli uomini, dimostrazione di machistica virilità, ora erano le donne ad essere afferrate, palpate, avvolte e sbatacchiate a dimostrare la loro arrendevolezza di fronte a tanto esplicite profferte.
E il tango i suoi cantori andò a cercarseli proprio tra i viali della ancora splendida capitale argentina, Gardel prima e Piazzolla poi. Il quintetto Boccherini si esibisce in quella che è forse la più valida partitura di Piazzola, musicista supervalutato e supersuonato, soprattutto quando si va a caccia di facile successo. Ma queste Quattro Stagioni portegne hanno un spessore accademico di considerevole caratura, perché Piazzolla i suoi studi non li fece sulla strada, ma li maturò nella scuola parigina di Nadia Boulanger. Linda e i suoi strumentisti (Perpich, De Massis, Fiordaliso e Della Vecchia) suonano con accorta professionalità e trattano questa musica col dovuto rispetto, mettendone in rilievo le asciutte architetture costruttive. Poco languore, per fortuna, e molta disciplina ritmica, un crepitare prokofieviano di alta scuola.
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