Bocci: “La condizione del partto è allarmante”
In vista delle amministrative in molte realtà locali montano gli scontri interni
PIERPAOLO BURATTINI
PERUGIA – Il messaggio che sale dai “campi di battaglia” e dagli “avamposti” è sconsolante perché univoco: scontri feroci all’interno del gruppo dirigente calibrati sulle idiosincrasie personali e non sui progetti; sindaci in uscita che brandiscono l’arma della lista civica o vengono cucinati a fuoco lento dai colleghi che li hanno preceduti; le primarie brandite come una clava contro la cordata avversa. Il tutto in un clima intossicato dai sospetti degno di una corte rinascimentale che produce acidità di stomaco anche nel più ottimista dei militanti.
Per capire basterebbe farsi un giretto a Bastia Umbra piuttosto che a Gualdo Tadino per non parlare di Castiglione del Lago, Spoleto, Montefalco o Umbertide. Evitando di citare i casi di Perugia e Terni. E allora ci si renderebbe conto che con le elezioni amministrative a cinque passi di distanza, dietro il logo tirato a lucido del Partito democratico, il motto che va per la maggiore non è lo “Yes we can” veltroniano ma il più prosaico “Ognun per sé e tutti contro tutti”.
Ed è per questo che, tra il silenzio dei vertici regionali e il ricorrente tam-tam circa una loro discesa in campo nelle stesse amministrative, l’onda lunga dello scontento si sta trasformando in vero e proprio allarme. Soprattutto tra le prime file del partito. E non è un caso che a tal proposito uno dei pezzi da novanta del Pd nostrano come Gianpiero Bocci sembra aver maturato l’idea che più che un campanello d’allarme lo stato dell’arte meriterebbe un prolungato risuonare di campane. E non certo a festa.
Un paio di sere fa in un dibattito pubblico in quel di Foligno, il parlamentare si è lasciato volutamente andare a un’analisi spietata che suona come chiamata in correità per l’intero gruppo dirigente. “Siamo arrivati a un punto in cui ognuno per la parte che gli compete è bene che si assuma la sua parte di responsabilità, la situazione del partito è per certi versi preoccupante per altri allarmante”.
Parole che riecheggiano quelle che lo stesso Bocci pronunciò nel corso del primo Ufficio politico del partito prima della pausa estiva, quando invitò il tandem di vertici Bruscolotti-Boccali a prendere in mano la situazione e rompere la preoccupante afasia in cui il partito si stava infilando. Da allora ad oggi, per Bocci ma anche per molti altri, poco si è fatto per invertire la rotta.
E mentre in piazza della Repubblica o in Corso Cavour, rispettivamente sede provinciale e regionale del Pd, va in onda il dibattito circa la deroga o no al terzo mandato da inserire nello Statuto del partito più d’un dirigente si abbandona al sarcasmo sottolineando come “prima di parlare di mandati sarebbe bene occuparsi del come presentare una proposta credibile ai cittadini, altrimenti i mandati non ci saranno più per nessuno…”.
Ed è in un quadro come questo che gli alleati scalpitano: Rifondazione chiude preventivamente la porta in faccia ad accordi solo su singole realtà locali e chiede a gran voce che il Pd dica cosa vuole o non vuole fare. E se Rifondazione comunista scalpita i Socialisti si buttano a bomba nella richiesta di primarie di coalizione e l’Italia dei Valori minaccia di aggregare scontenti sotto le proprie insegne o dando il proprio appoggio a liste civiche che potranno venir fuori nelle varie realtà comunali. Per metà settembre i democratici sono intenzionati a far partire quel lavoro preliminare a base d’incontri e colloqui con i vari partiti in modo da mettere in piedi una coalizione e un programma e disciplinare l’uso delle elezioni primarie. In casa Pd, battere un colpo quanto prima è ormai diventata una necessità.
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