Di Renato Farina


Il leader dell’Ulivo bacchetta i Ds. Ma ecco da che pulpito vien la predica


Ma da dove arriva questo Savonarola con i fulmini in mano? Da quale Cielo angelico vuol folgorare i politici accusati di commistione con gli affari? Parliamo di Romano Prodi, naturalmente. Ieri ha scambiato la Stampa per il Monte Tabor e si è trasfigurato. Ha chiamato sulla prima pagina all’adunata «gli Italiani», e ci tiene a usare la I maiuscola. Ha enunciato le beatitudini che ne rallegreranno la vita se lasceranno mano libera al messia (lui, anzi Lui). Il quale coprirà con il suo manto immacolato l’Unipol, purificando i poveri Ds. In compenso trafiggerà inesorabilmente il Diavolo- Berlusca. Dice Prodi in questa specie di anatema da santone sudamericano: io annuncio il regno della «assoluta trasparenza» nei rapporti tra politica e affari. La gente ha «fiducia» in noi del centrosinistra perché rappresentiamo l’«aspirazione » del popolo alla «qualità morale», siamo i depositari della «maggiore tensione morale», persino dell’ «amor di Patria». Conclusione ovvia: guarirò questo Paese dalla lebbra del «regime di conflitto di interessi », dalle «leggi ad personam » eccetera. Ma chi è questo Arcangelo peronista con lo spadone di fuoco, da quale Paese dei balocchi arriva questo Omino di Burro? Noi abbiamo peccato senz’altro più di lui e delle sue Nomisma, Sme, Telekom Serbia, Goldman Sachs, Iri e Uri, anche se queste piacciono di più ai musulmani, ma gli confidiamo una preoccupazione: non s’innalzi troppo, che poi cadere dal seggiolone fa male. Molto modestamente gli diciamo: più umiltà, Professore, non caricare gli altri di fardelli che fingi di non avere. Non fare il cherubino, dài. Ritira le alucce candide sotto la giacca, prima che Craxi salti su dalla tomba di Hammamet a spennartele. Abbiamo qualche ricordino in mente. Deve avercelo anche Antonio Di Pietro, il quale adesso invece lo nasconde nelle sue cantine di pm ed elogia Romano. Gli dice Tonino: «Grazie Romano, questo è il manifesto etico che avevo chiesto». Da non credere. Qui a parte l’etica è l’estetica che traballa. Ma anche l’acustica. Non si ricorda più Di Pietro quando il 4 luglio 1993 urlò contro di lui per due ore a Palazzo di Giustizia di Milano proprio sulla medesima questione, e Prodi impallidì e chiese il permesso di telefonare a casa? Lo racconta Mattia Feltri in un articolo memorabile, tra l’altro citando la Bibbia di Mani Pulite scritta da Marco Travaglio e Pietro Gomez. Dopo essersi spaventato a morte, Prodi corse in lacrime a domandare soccorso a Oscar Luigi Scalfaro. Ho ancora in mente quando, nel confronto tv prima delle elezioni del 1996, Filippo Mancuso chiese espressamente a Prodi se ricordava qualcosa del genere, e lui negò. Mai saputo nulla di tangenti, sette anni di Iri, e per lui tutto era specchiato, lindo. Che trasparenza. Davvero Di Pietro, con i suoi prestiti e le sue Mercedes, elegge Prodi, con la sua Iri e la sua Sme, a maestro di morale politica, in cooperativa con i Ds? Prodi era stato zitto, zittissimo fino a un attimo fa, dinanzi all’evidenza del pasticcio. La vicenda dell’intreccio tra affari e politica non sta sgambettando il centrodestra, ma sta travolgendo il vertice dei Ds. I quali volevano una presa di posizione forte di Romano, anche perché sospettavano di lui. Erano incerti se ritenerlo mandante morale o semplicemente beneficiario gaudente dello scatenamento giornalistico di Corriere della Sera e Repubblica contro Unipol e di conseguenza contro i referenti politici della finanza rossa: cioè loro, Fassino e D’Alema. Finora era stata descritta così la pensosa attitudine del candidato bolognese: «silenzio assordante». Insomma: Ponzio Prodi. Il tutto mentre crocifiggono Piero e Massimo, senza nessuna allusione ai due ladroni, ovvio. In effetti l’uomo era imbarazzatissimo. Incerto se compiacersi per le disgrazie dei suoi alleati poco inclini a farsi piallare nel “suo” Partito democratico, o se preoccuparsi per le loro prevedibili vendette.Vendetta, certo. Capacissimi Fassino e D’Alema di sostituirlo all’ultimo momento persino con Veltroni, che con i due di cui sopra non c’entra nulla, ma almeno non è uno della parrocchia cattocomunista. Che delusione Prodi per i Ds. Fassino e Prodi si erano messi d’accordo prima delle europee del 2004 (D’Alema anche prima). Romano sarebbe stato candidato premier per il 2006. Ottenendo anche la nascita del partito ulivista, dove i simboli del passato spariscano progressivamente. Chiaro che a pesare nel nuovo partito sarebbe stato l’apparato antico dei Ds. Qui storce la bocca Rutelli. Ma eccoci all’estate del 2005. Le indagini sui furbetti delle scalate bancarie invadono il sacro mondo della finanza rossa. Rutelli attacca. Sarà lui a volere il Partito democratico, perché intravede la possibilità di ribaltarne la leadership, essendo troppo inguaiati i diessini. E questo era prevedibile. Meno che fossero i prodiani a infilzare i diessini, mandandoa monte il patto di ferro. Invece è proprio Arturo Parisi a lanciare la “questione morale” nella famosa intervista del 4 agosto, e proprio sul Corriere della Sera, il quotidiano indicato da D’Alema e Fassino come il nemico giurato delle Botteghe Oscure. La questione morale si infilava nelle loro costole come un’alabarda. Chiaro dove puntasse Parisi: ad ergere un monumento alla moralità di Prodi, da incoronare come colui che avrebbe redento le malefatte non solo del Berlusca ma anche della sinistra affarista. Del resto Prodi godeva e gode di molti amici tra i banchieri proprietari del Corriere. Parecchi di loro sono andati a votarlo alle primarie dell’Unione. Non gli nascondono affetto. Ma adesso che succede? Che se va avanti così i prodiani tagliano il ramo su cui è appollaiato il loro eroe. E rivince la Cdl. Ecco allora che Prodi si è svegliato, e si è posto come protettore della moralità universale, nel contempo dichiarando che l’aspirazione ad essa appartiene non ad Adamo, ma solo al suo braccio sinistro. Siamo al solito razzismo che controlla non il colore della pelle ma dell’anima. La giravolta poi ha dell’incredibile: si discute di pasticci telefonici tra Unipol e Fassino, e il Moralista agita la durlindana contro Berlusconi. Come se il problema di attualità fosse la risaputa questione che Mediaset è dell’uomo di Arcore. Piero riconoscente gli getta le braccia al collo e dice: sono d’accordo con Prodi, ha proprio ragione. Chi credono di prendere in giro? In realtà il disegno di Prodi è quello di commissariare con la sua alta figura morale i Ds, e non è che loro gradiscono tanto, al di là del consenso di facciata. E loro stessi si stanno domandando: ma chi gli ha dato la patente di Savonarola? In queste pagine proviamo a guardare più da vicino l’intemerata purità di Romano. Quante macchie. Chi gliele smacchierà? Ci stupiamo che Di Pietro si presti per la bisogna e gli lucidi i bottoni della tonaca. Ci ricordiamo di quello che gli disse durante l’interrogatorio del 4 luglio 1993, a proposito di tangenti: «Prodi, non ho ancora capito se l’hanno fatto fesso o se lei sta facendo il fesso… ». O il furbetto.

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