Con la relazione dell’architetto Portoghesi ha preso il via a Bastia la seconda edizione della manifestazione
Si è palato di geoarchitettura, di habitat e di natura che si “autodistrugge”
MATTEO BORRELLI
Bastia Umbra geoarchitettura” è il titolo della prima conferenza dell’Oicos Festival 2007, intitolato “Il senso della terra”. A tenerla Paolo Portoghesi, che ha relazionato ieri mattina alle 10 al cinema Esperia di Bastia Umbra. Nonostante l’orario del giorno feriale, la sala del cinema era piena di curiosi spettatori. Professionisti, addetti ai lavori in senso lato e semplici cittadini. Tutti hanno seguito con interesse la discussione culturale. Un vero successo, pienamente meritato per Paolo Ansideri, presidente di Oicos Riflessioni, e da tutti i suoi colaboratori che insieme hanno sostenuto il progetto ambizioso di portare in Umbria un festival dalle caratteristiche internazionali. Paolo Portoghesi ha dunque sviluppato il tema dela Geoarchitettura, Che – ha spiegato – tende a mettere l’accento sulla responsabilità dell’architettura, e quindi degli architetti, nel conflitto tra tecnologia e natura”.
“Bisogna che gli architetti prendano coscienza del si rendano conto che la loro azione è una delle azioni determinanti nella trasformazione dell’ambiente e quindi occorre un’architettura rifondata a partire dal grande tema “abitare la terra”. Sono anni che pubblico anche una rivista con questo titolo, un tema che ho ripreso nell’insegna-mento e anche nella pratica professionale. Purtroppo l’Italia è un paese in cui su questo piano si riesce a fare poco perché manca una sensibilità nei confronti dei consumi energetici, riferimenti bioclimatici, etc…”. E ha anche aggiunto: “Gli unici che nell’architettura realizzano effettivamente degli spazi senza incidere sul bilancio energetico e sull’inquinamento atmosferico sono purtroppo soltanto le popolazioni che hanno un’economia di sopravvivenza. Io faccio sempre un esempio ai miei allievi: a Cuzco, nelle parti alte della città ci sono molti che si costruisco-no la propria casa con la terra, con rami dismessi dalle palme, senza operare nessun tipo di trasporto, senza utilizzare materiali esterni e realizzano la propria casa a consumo zero. Quello che noi perseguiamo nelle civiltà tecnologizzate si realizza già spontaneamente nelle civiltà primitive, o comunque in quelle che vivono in condizioni di povertà. Siamo noi che viviamo nel benessere a peggiorare l’ambiente, un peggioramento che però incide su tutto il mondo. Geoarchitettura vuol dire architettura delle responsabilità. Per cui prima di costruire un edificio ci si deve porre il problema di cosa si possa fare per diminuire il conflitto con la terra”.
Alle 11,30 c’è stato il secondo appuntamento: Fulco Pratesi ha relazionato su “La terra (H)abitata”, nella sala consiliare del municipio di Bastia Umbra. Anche in questa circostanza la presenza del pubblico è stata notevole.
Ma, se le discussioni sulla crosta terrestre mietono i primi successi, non è di certo trascurabile il movimento che si sviluppa intorno alle iniziative proposte in piazza Mazzini; oggi i ragazzi hanno avuto il primo approccio con la manifestazione e hanno così iniziato a socializzare coi i vari aspetti della terra. Il geologo Federico Fanini del Parco del Monte Subasio ha improvvisato la prima lezione presso la sala delle suore benedettine di via Garibaldi, dove è allestita l’area dedicata ai siti di geologia e paleontologia dell’Umbria. Il Parco del Monte Subasio, Dunarobba e Pietrafitta sono stati oggetto di discussione animata tra il geologo e numerosi ragazzi interessati all’argomento.
Per ciò che riguarda i bambini, Anna Serlupini, coordinatrice della Ludoteca Comunale di Bastia Umbra, ha proposto ai bambini intervenuti intrattenimenti di vario genere, sempre in tema con l’argomento principe della manifestazione “Il senso della Terra”. Nel pomeriggio, alle ore 16 Francesco Dal Co al cinema Esperia ha sviluppato il tema “La sensualità della terra. Il sentimento del peccato nell’opera di Guadì”. Alle 18 in piazza Umberto I, Erri De Luca ha parlato di “Pensieri di un inquilino”. Alle 21,30 in piazza Mazzini Oliviero Toscani ha intrattenuto il pubblico accorso numeroso con la sua provocatoria tesi: “Difendiamoci dalla natura che sta utilizzando l’uomo per la sua distruzione”.
«Dove s’incontrano le differenze»
MASSIMO OPHENEIM
BASTIA UMBRA – Achille Bonito Oliva è un ospite molto atteso e amato dal pubblico. Per l’occasione sarà l’ultimo dei conferenzieri di questa edizione di Oicos Festival. Ultimo conferenziere, ma non certo per importanza, ma solo per ragioni di palinsesto. Bonito Oliva fa parte dell’eletta schiera dei numerosi e prestigiosi ospiti del fitto calendario delle manifestazioni proposte dall’associazione culturale Oicos Riflessioni fino a domenica. Relazionerà sul tema “Arterra”. L’appuntamento è per domenica alle 21,30 in piazza Mazzini a Bastia Umbra. Il suo sarà di certo un modo originale e stimolante per chiudere la seconda edizione dell’Oicos Festival intitolato “Il senso della terra”, che con uno sguardo particolare sul rapporto tra arte e terra completa il quadro delle tematiche affrontate per ambiti culturali. Paolo Ansideri, presidente di Oisos Riflessioni, giunto al suo secondo evento di rilevanza internazionale, ha spinto Achille Bonito Oliva a rivelare in anteprima il significato del suo intervento sull’argomento “terra”. E il critico d’arte non si è di certo sottratto alle sollecitazioni. “L’arte contemporanea – dice Achille Bonito Oliva – si è sempre posta il problema della terra, del paesaggio, prima dipingendolo in un rapporto all’aria aperta di pittori che con l’impressionismo escono dallo studio e cominciano a dipingere in presa diretta sulle cose, sulla realtà. La cosa interessante è che nel secondo dopoguerra con la land art, arte della terra, alcuni artisti, specialmente americani, hanno cominciato a operare in scala sul paesaggio in grandi dimensioni con interventi sulla natura, sulla terra direttamente, scavando canyon sul deserto, intervenendo sulla neve, oppure con Cristo, coprendo la terra, con l’occultamento di chilometri e chilometri di coste oppure di territori interni nei deserti, occultando per far sentire il problema dell’importanza della terra. La terra è diventata anche un po’ un materiale.
Con l’arte povera la terra non veniva solo dipinta, veniva depositata nelle opere. Ci sono opere di artisti, come Monellis, come Morris, che hanno adoperato materialmente la terra, i cactus, i sassi, l’erba, come Calzolari che da-va il senso dell’appartenenza. E arriviamo al genius loci la terra come luogo della radice, luogo dell’identità.
L’arte contemporanea è un’arte globale, un’arte internazionale, un’arte universale, certamente non è un’arte territoriale.
Per terra noi dobbiamo intendere allora quasi il sottosuolo culturale che è sottostante alla terra stessa e la terra corrisponde anche a quell’idea di confine della geografia.
L’identità territoriale è un’identità che ricompare nella storia dell’arte degli anni ’80 con la transavanguardia, mentre prima la terra era solo una quantità di territorio. La terra che acquista romanticamente il senso dell’identità del genius loci con recupero della soggettività dell’artista che non opera solamente attraverso materiali sperimentali, ma recuperando l’arte deve esprimere la propria identità.
Quindi la terra diventa una terra fertile, una terra produttrice di un’identità e di differenza. Col multiculturalismo, la terra diventa ancor più un elemento di riferimento, di multiculturalismo annoverato di culture primitive e quindi di culture secondarie, di culture del terzo, quarto e quinto mondo, ha fatto in modo di superare l’egemonia geocentrica della cultura occidentale e in-vece di aprire in un rapporto di scambio dialettico una relazione con culture che erano marginali ed emarginate. A questo punto la terra diventa ancor più un deposito di identità, di soggettività. La terra e ciò che definisce anche la differenza nella nostra società attuale globalizzata dalla telematica informatizzata che viaggia automaticamente attraverso internet e che però proprio attraverso questo viaggio trova la possibilità di affermare un valore attraverso l’arte la coesistenza delle differenze”.
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