Bastia

“Vi racconto l’infelicità degli uomini invisibili”

PAOLO VILLAGGIO – A colloquio con l’ultimo istrione della scena italiana questa sera al teatro “Esperia” di Bastia


BASTI UMBRA – L’ultimo grande istrione della scena italiana – del teatro, del cinema e della televisione – Paolo Villaggio, propone questa sera al teatro Esperia di Bastia Umbria tre monologhi ispirati alle opere di due giganti del teatro, Anton Cechov e Luigi Pirandello, reinventandoli con il suo stile inconfondibile. Tre momenti, il cui filo conduttore è costituito dalla disperazione, dalla ribellione e dalla solitudine di un uomo, ma allo stesso tempo dalla sua trascinante carica comica e grottesca. Tre personaggi che sembrano incarnarsi e vivere con straordinaria intensità nel grande attore genovese, che li adotta e li anima come fossero schegge impazzite della propria esperienza umana, in un intreccio dove comicità e malinconia si fondono sapientemente. Tre pezzi nei quali Villaggio esprime liberamente tutto il suo immenso talento, in un crogiuolo creativo dove la tragicità si fonde con l’incanto di una sottile quanto incisiva ironia, e dove lacrime di pianto si trasformano rapidamente in lacrime di riso. Villaggio offrirà al pubblico, sul palcoscenico del teatro di Bastia, non è difficile prevederlo, l’ennesima maiuscola prova d’attore, confermandosi, come una figura di grande risalto nel mondo dello spettacolo italiano; un eclettico interprete che ha saputo guadagnarsi un posto di rilievo nella storia della comicità nel dopoguerra, regalandoci celeberrime maschere tragicomiche e caratteri indimenticabili nei lavori di registi come Fellini, Monicelli, Olmi, Salvatores e Strehler.
Tre monologhi di tragica comicità “Il fumo uccide” è un atto d’accusa contro i danni provocati dal fumo, un’invettiva e una denuncia morale di responsabilità civile nei confronti della speculazione costruita sulla salute dei cittadini. “Una vita all’asta” è la confessione e il congedo dell’attore giunto agli esiti finali della sua lunga carriera, nel momento in cui i ricordi si tramutano in una sorta di testamento artistico.
“L’ultima fidanzata” racconta dell’ipocondria e dell’inquietudine scaturite da un preoccupante responso medico, e del timore di
essere proiettato in una dimensio- ne altra, dove la vita assume un significato diverso e inatteso. Ma avere Paolo Villaggio in Umbria è anche un’occasione per rivolgergli alcune domande Serata d’addio è il titolo dello spettacolo che porta a Bastia, Villaggio ha intenzione di ritirarsi? “Finchè ce la faccio continuoa fare l’attore. Ammetto che il titolo è un po’ furbo perché si dà l’impressione al pubblico che sia l’ultima volta che può venirmi a vedere. E quindi la gente viene di più”.
Un titolo un po’ forte, come lo erano i precedenti spettacoli
“Delirio di un povero pazzo” e “Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda”.
“Non erano titoli forti. In fondo sono un vecchio e quindi inizio a delirare anche io. In quel titolo c’era tuttavia anche autocompiacimento, voglia di essere spiritoso, autoironia. Ricordo che in Italia nessuno voleva pronunciare per intero il titolo ‘Vita, morte e miracoli di un un pezzo di merda’. Faceva paura la parola merda, eppure è un termine talmente tanto usato che non è nemmeno più una parolaccia, oggi diciamo “una giornata di merda”, “un pubblico di merda”. È diventata una parola priva di volgarità”.
Lei ha interpretato tanti film: alcuni famosi, altri un po’ meno.
Li ricorda tutti con piacere?
“Ne ho fatti più di 100 di film. Tutti non me le ricordo. Ricordo solo quelli che tengo nel cuore, come il primo Fantozzi e il secondo episodio, il film di Olmi “Il segreto del bosco vecchio”, “La voce della luna” di Fellini, ma anche quello della Wertmüller”.
Secondo lei oggi in Italia ci sono più Fantozzi o più antiFantozzi?
“Se per Fantozzi intendiamo un personaggio che fa il potente con i deboli, e il debole con i potenti, bisogna ammettere purtroppo che dominano i Fantozzi. Poi ci sono i potenti quelli che vanno a parlare e a pontificare in televisione. Sono per lo più politici. Sono animali stupidi che non avendo qualità hanno deciso di fare i politici. Per me i politici sono animali senza qualità, che prima fanno i lecchini e il portaborse di un potente, e successivamente diventano potenti, ma anche i potenti a loro volta sono leccaculi. Non ci possiamo fare nulla, è la regola di questa cultura, basata essenzialmente
sul desiderio di avere potere, di farsi invidiare, e di fingere di non
provare invidia”.
Nel corso della saga lei ha raccontato la vita del suo personaggio dai quarant’anni alla morte. Non ha mai pensato di girare un
film in cui raccontare le origini di Fantozzi, la giovinezza? Lasciandolo interpretare, ovviamente, da un altro attore e riservandosi il ruolo del padre.
“No, non credo che avrebbe senso, oggi, fare una sorta di Figlio di Fantozzi. Invece abbiamo fatto, anni fa, Superfantozzi, in cui raccontavamo i Fantozzi di tutta la storia dell’umanità”.
E oggi, Fantozzi, come sarebbe? “Il mondo è cambiato molto. Le classi sociali non si distinguono più. Fantozzi sarebbe sicuramente più povero e infelice, ma si travestirebbe da persona riuscita: si metterebbe il piercing, indosserebbe jeans strappati e sognerebbe di sposare una velina. Fantozzi era un disadattato, i Fantozzi di oggi, invece, sono omologati. La felicità non è essere felici, ma sembrarlo”.
Quest’anno ha compiuto 74 anni. Che immagine ha dei giovani?
“I giovani oggi sono disperati, bevono moltissimo, si impasticcano e poi imbrattano i muri. Questo fenomeno non è da sottovalutare. Sbagliamo quando diciamo che sono dei teppisti, questo giovani che scrivono sui muri è gente che ha paura di non essere visibile e allora lascia dei segni per sottolineare la loro presenza, per ribadire che anche loro esistono. Imbrattando i muri invocano un segnale d’aiuto, non sono atti di teppismo. Vogliono solamente essere visti, perché è terribile non esserci. Non esistere, è la malattia più grave”.
E quei giovani che arrivano ad armarsi di spranghe e a menare negli stadi?
“Sono giovani ancora più disperati e purtroppo di loro non si parla mai. La domenica sera si parla solo di quei commendatori che vanno in televisione a dire ‘anche la giornata di oggi è stata funestata da incidenti’. Perché non ci chiediamo come mai questi giovani arrivano a spaccare qualunque cosa anche se la loro squadra del cuore vince? Il loro obiettivo in realtà non è andare allo stadio e guardare la partita, vanno esclusivamente a cercare di essere visibili. Da una parte ci sono gli iperpresenti, quelli che si vedono sempre, Valentino Rossi, Briatore, le veline, e dall’altra parte ci sono coloro di cui si parla solo quando manifestano segnali terribili”.



 

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