IL DIBATTITO sul futuro della parrocchia di San Michele Arcangelo, l’unica del capoluogo comunale, è ormai diventata una questione che è andata oltre un problema interno alla chiesa locale evidenziando le difficoltà nel rapporto tra la parrocchia di Bastia e gran parte della diocesi di Assisi, di cui rappresenta il 25 per cento dei fedeli. Le esternazioni del parroco don Francesco Fongo, prima con la comunicazione all’assemblea ecclesiale del 28 luglio, poi con la lettera del 15 agosto agli operatori pastorali, sono un sintomo della situazione. Sull’altro fronte l’Arcivescovo Domenico Sorrentino che chiede l’applicazione delle ‘unità pastorali’, pensate nel 1992 dal suo predecessore, pone l’esigenza improrogabile di governare la diocesi che, altrimenti, diventerebbe ingovernabile.

CERTI RIFERIMENTI «all’invidia, alla gelosia, alla mentalità dittatoriale» evocati nell’ultima lettera del parroco suscitano scandalo tra la gente. In realtà la dichiarazione di don Francesco di «volere obbedire al vescovo» smorza i toni della polemica e toglie terreno a coloro che, invece, vorrebbero lo scontro. Due posizioni, quindi, che hanno entrambe una base di ragionevolezza, ma che denunciano l’incapacità di un dialogo reale tra la dimensione parrocchiale e quella diocesana.

A SPIEGARNE meglio il senso è la parola «normalizzazione», usata dal vescovo per ricondurre alla razionalità il governo della diocesi e interpretata nella parrocchia di Bastia come la volontà di spegnere il dinamismo e la vitalità che fino ad oggi questa realtà ha saputo esprimere. Non è, quindi, un problema di persone (tre nuovi preti che da ottobre prenderanno il posto a Bastia di quelli di oggi), ma di gestione delle molteplici attività parrocchiali. Don Francesco, infatti, dà voce alle decine di laici, di cui molte donne oggi molto meno docili di ieri, che indietro non vogliono tornare e chiedono, piuttosto, al resto della diocesi di adeguarsi ai ritmi e alla mentalità che si sono affermate a Bastia.
m.s.

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