Bastia

Tangentopoli rossa

Le voci giravano da parecchio tempo: a Napoli si sta scoperchiando il pentolone del malaffare politico e non solo. Adesso non sono più soltanto voci. Il tintinnìo delle manette è diventato insistente e si dà per imminente un primo lotto di arresti cui ne seguiranno altri, e sarà l’avvio di una nuova poderosa Tangentopoli ancora più devastante dell’edizione 1992 di cui non s’è dissolto il ricordo. Motivi, i soliti. Intreccio di affari all’apparenza puliti, nel senso di ufficiali e autorizzati, in realtà luridi, connessi con la camorra e robaccia del genere.


Non è una novità che nel Sud e in Campania, in particolare, i bilanci degli enti – Regioni, Province e Comuni – siano disastrati malgrado non si offrano ai cittadini servizi decenti; si sa da anni, e se ne parla da sempre. Ci si domandava come mai le schifezze potessero continuare senza che nessuno mettesse un freno o quantomeno cominciasse a controllare; probabilmente, davanti al disinteresse e all’indifferenza delle autorità, i profittatori della cosa pubblica si erano illusi di seguitare a fare il comodo loro. E i traffici illeciti sono aumentati a dismisura.


Non si è tenuto conto che il troppo storpia. Ora una cosa è certa: il fiume degli illeciti è uscito dagli argini e la magistratura ne ha i cassetti pieni, e si è mossa. Cosa succederà è presto per dirlo, ma succederà a breve. Si annuncia uno scandalo di proporzioni colossali  destinato a travolgere i palazzi del potere, esattamente come accadde sedici anni fa a Milano quando Di Pietro (dai milioni gettati nel cesso da Chiesa) partì lancia in resta contro i tangentari dell’epoca. Il clima è così rovente nel Golfo che Walter Veltroni ha sconfessato Bassolino dopo averlo supportato in campagna elettorale e per i mesi successivi. Ha preso le distanze da lui per evitare un coinvolgimento politico che danneggerebbe in modo drammatico l’ammaccatissimo Partito democratico. Ma il tardivo sganciamento dal Presidente campano è solo un tentativo velleitario di salvare il salvabile. Infatti il Pd appare molto compromesso non solo per i guai napoletani. Un’ondata di inchieste si è abbattuta anche su Roma, Genova, Firenze e Perugia dove numerosi amministratori di sinistra sono con l’acqua alla gola, e da un momento all’altro rischiano di affogare nella vergogna.


Ecco l’aspetto inconsueto dello scandalo incombente: i protagonisti principali delle furberie appartengono all’area progressista. E ciò smentisce che la questione morale riguardi soltanto partiti di centro e conservatori. Figuriamoci. Aveva un bel dire Enrico Berlinguer, segretario venerato del vecchio Pci, quando elogiando la purezza dei compagni, biasimava l’ingordigia degli avversari.


Già, la questione morale. Il patrimonio etico di Botteghe Oscure è stato dissipato. Ma fin dal 1992 non era più intonso, ammesso lo fosse mai stato. Soltanto che Di Pietro o non se ne accorse o non volle accorgersi, per cui i postcomunisti furono risparmiati dall’onta del carcere. Anziché in galera andarono al governo. La sintesi storica è brutale ma fedele.


Adesso le parti in commedia si sono rovesciate: il malcostume si è tinto di rosso. Suppongo quale sia il timore di Veltroni: se cade Napoli, l’effetto domino si rifletterà su Firenze, Roma, Genova e Perugia dove i cerchioni ballano a parecchia gente con le mani bruciacchiate dal denaro scottante sottratto alle pubbliche casse.


Su Napoli ci sarebbe addirittura da ridere se la città non fosse conciata com’è. Nei giorni orrendi della spazzatura soverchiante, si costatava l’inefficienza delle amministrazioni. E la loro tendenza a sprecare fondi. Le strade debordanti immondizia, puzzo d’altri evi, disperazione; e la scoperta che ciò accadeva nella metropoli con il maggior numero di netturbini. Una presa in giro. Una beffa atroce. I napoletani soffocavano nel lerciume e gli operatori ecologici – come amano farsi definire – si grattavano l’addome. Spettacolo horror. Miliardi e miliardi e miliardi dissipati non si sa perché né per che cosa e nemmeno un inceneritore, non un termovalorizzatore, non una discarica funzionante. Di raccolta differenziata non se ne discuteva neppure.


In quali tasche erano calati tanti quattrini stanziati dallo Stato e malgestiti dagli enti affidati alle amorevoli cure di Bassolino, Iervolino eccetera? A questa domanda non è stata data una risposta da noi comuni mortali. Forse l’hanno trovata i pm? Forse il mistero è sul punto di essere svelato? Sta di fatto che i signorotti napoletani adusi a frequentare i siti della politica tremano siccome foglie al vento. Il Pd, esausto causa le polemiche post-sconfitta elettorale di primavera, non sa da che parte voltarsi. Capi e capetti si sbranano. Si cerca un colpevole, un capro espiatorio. Qualcuno auspica un repulisti che restituisca un minimo di credibilità alla dirigenza.


A tutto questo – bastevole ad abbattere un toro – si aggiunga lo strappo di Chiamparino, sindaco torinese, il quale punta a smeridionalizzare il Pd creando una sorta di succursale nordista o quantomeno nordica. Si aggiunga l’insofferenza di Cacciari. Si aggiunga lo smarrimento degli iscritti. E si comprenderà su quale terreno limaccioso cammini il povero Walter Veltroni, eccellente scattista ma debole passista, incapace di manovre ad ampio raggio, negato alla guida di un movimento di massa in cui la presenza di cattolici e ex comunisti rende difficile ogni scelta.


Intanto le brigate berlusconiane, pur fra mille ostacoli e dissapori interni alla maggioranza dovuti a questo e a quello, procedono alla realizzazione di mezze riforme, si arrabattano contro la crisi, si ingegnano ad otturare le falle nel bilancio fra piagnistei cattolici, impuntature leghiste e chi più ne ha ne metta. Non saranno perfette, per carità, ma si agitano, mostrano vitalità, spirito di iniziativa.


Nel caos tutt’altro che calmo della situazione patria, che fanno i compagni? Si apprestano a scioperare sotto l’egida del sindacato socialcomunista, la Cgil di Guglielmo Epifani. L’Italia barcolla. Le imprese licenziano per non morire, i lavoratori sono stremati e pieni di paura e il sindacato che fa? Sciopera. Il mercato è sgangherato, i consumi sono fermi, i redditi sprofondano, la Cassintegrazione scoppia, i pensionati hanno fatto un altro buco nella cinghia e la Cgil, a corto di idee, sciopera danneggiando ulteriormente una economia sfasata in mezzo mondo.


Il più lucido della banda progressista – si fa per dire – è Massimo D’Alema il quale, avendo fiutato la minaccia giudiziaria su quel che resta dell’Ulivo, invoca una ristrutturazione della Giustizia allo scopo – presumo – non di infliggerle la mordacchia – ma di far sì che i magistrati si diano una regolata.


Meglio tardi che mai. È singolare costatare come la sinistra si accorga di quanto sia allo sbando il potere giudiziario solamente ora che, guarda un po’, si accinge a colpirla.


L’intempestività è sospetta. È sempre sospetta. Ma nella circostanza lo è più del solito.


Ai lettori di Libero la promessa di tenerli aggiornati.


 

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