L’INCHIESTA
Un giro di droga capace di fruttare solo ai cavalli anche seimila euro al mese. Un traffico di cocaina che ha inondato per almeno due anni Perugia e Umbertide, ma anche Assisi, Bastia e Torgiano. E che adesso è stato stroncato dalla Direzione distrettuale antimafia di Perugia che ha indagato ventisei persone, tra albanesi, romeni e anche un cittadino italiano: per uno è stato disposto l’arresto in carcere, per quattro i domiciliari, per altri quattro l’obbligo di dimora con divieto di uscire di notte e per undici il divieto di restare in Umbria.
Queste le misure cautelari disposte dal giudice per le indagini preliminari Valerio D’Andria sulla richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini che però per tutti aveva chiesto il carcere, ipotizzando un’associazione per lo spaccio di droga in provincia. In quarantotto pagine di ordinanza, il gip D’Andria ha messo in fila le accuse di ben 41 capi di imputazione e il quadro è quello di fiumi di cocaina riversati sulla provincia: a incastrare gli spacciatori sono state decine di clienti che hanno non solo confermato i sospetti degli investigatori, ma aiutato a individuare gli spacciatori e fatto risalire ai cellulari con cui la banda gestiva il traffico di stupefacenti.
In particolare, il gruppo Perugia e il gruppo Umbertide, divisi in base alle piazze in cui facevano affari. «Il primo gruppo – riassume il gip – era strutturato con due soggetti residenti all’estero che si occupavano dei contatti con gli acquirenti e un gruppo di cosiddetti cavalli che operavano in Italia, consegnando lo stupefacente ai clienti secondo le indicazioni fornite dai telefonisti». Altri componenti (tra cui l’italiano residente a Torgiano) si occupavano di aspetti logistici, come case e auto per «consentire l’operatività dei cavalli», gli spacciatori al dettaglio, impegnati da Castel del Piano e Sant’Andrea delle Fratte. Il gruppo Umbertide, invece, secondo Petrazzini, è «composto da membri di una medesima famiglia albanese», per cui il gip però non ha ravvisato «l’esistenza di una vera e propria associazione». Tutti seguiti, fotografati e poi riconosciuti dai clienti fermati dagli investigatori. Ma soprattutto ascoltati. Le conferme ottenute dagli assuntori, infatti, hanno dato la possibilità alla Dda di intercettare le conversazioni degli spacciatori. In cui spiegavano tra di loro come funzionasse l’organizzazione: «Lavora con un suo cugino, che è ospitato da un italiano a cui dà 210 euro al mese e che è tenuto a dare un tot a quello e che poi può tenersi tutto il rimanente: io pago la macchina, pago quell’uomo e quello che va sui 2.000».
I clienti venivano indirizzati direttamente dall’Albania: «Non devi parlarci al telefono con quello – si dicono -. Dice semplicemente ti ha cercato quello e tra quanto andarci e basta». Un sistema considerato sicuro, almeno fino all’arresto del 2019 che ha fatto partire l’indagine. Con la droga acquistata anche a 40 euro al grammo e disponibile in diverse qualità, tra «nuova» e «vecchia», in base agli approvvigionamenti: «Quell’altra io ce l’ho ancora», si dicono gli spacciatori indagati – ascoltati al telefono ma anche nelle auto considerate del gruppo -, «L’altra era meglio di questo, come qualità dico, l’altra era meglio, questa è più forte». Un’offerta che adesso non è più su piazza.
Egle Priolo

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