Bastia

Sgominata la «banda d’oro» Tre arresti a Bastia

Con altri due complici rapinarono un furgone portavalori 


 
di GIUSEPPE SMURAGLIA
— PERUGIA —



L’INCHIESTA su una rapina a un portavalori avvenuta nel novembre del 2006 (che fruttò ai banditi un bottino di 200 chili d’ oro semilavorato equivalenti a qualcosa come 1 milione e 800 mila euro), si è chiusa con l’arresto di cinque italiani. Tre di questi sono stati presi dagli uomini della sezione Antirapine della Mobile perugina a Bastia Umbra. Gli altri due invece sono stati catturati tra Napoli e Caserta. Tra i cinque arrestati c’è anche il basista, «la talpa» della gang, che è una guardia giurata. La rapina fu particolarmente violenta: non vennero usate armi da fuoco, ma calci e pugni in quantità industriale.
A Bastia Umbra, le manette sono scattate ai polsi di due fratelli partenopei, Renato e Antonio Ronghi, rispettivamente di 22 e 38 anni. Il terzo «incomodo» di Bastia è Antonio Castaldo, trentatreenne, anche lui originario della capitale campana.

TEATRO DELLA RAPINA sono le zone di confine dal Triestino. La banda — un gruppo interregionale, per le diverse collocazioni domiciliari, che si ricompatta in occasione dei colpi — ha studiato la rapina nei minimi particolari. Fa svariati sopralluoghi con una Bmw X5, e può contare su un vero e proprio «jolly», ovvero una guardia giurata — all’anagrafe Pasquale Russini di 41 anni — che lavora in un’azienda per la sicurezza, di Vicenza, che sa tutto su un carico d’oro semilavorato che dev’essere trasportato dall’Italia fino in Croazia per la parte finale della lavorazione. Il bottino è di quelli importanti e i rischi — tutti ben calcolati — sono relativamente pochi. E il…«gioco» vale la candela: oltre 3 miliardi del vecchio conio. La banda però deve agire con rapidità e sincronismo. Il trasferimento dell’oro ha infatti una sola parte debole, a Trieste. Dove le guardie giurate di scorta al furgone d’oro, per passare il confine debbono logicamente lasciare le armi. La «talpa» è efficientissima. Fornisce alla banda ogni dettaglio e indica puntualmente anche l’armeria dove le guardie giurate devono depositare ‘ferri’ e munizioni. A quel punto il gioco è praticamente fatto. I rapinatori entrano in azione. Costringono l’autista a deviare il percorso e lo fanno parcheggiare in una zona isolata. Prima di impadronirsi del prezioso bottino, riempiono di botte una delle guardie: calci e pugni dappertutto, senza pietà. Poi spariscono.


COMINCIA una capillare e frenetica attività investigativa della Squadra Mobile di Treviso. I rapinatori d’oro però non resistono alle lusinghe del benessere e cominciano a fare la vita da nababbi. E sui cinque scattano indagini a tappeto e intereccettazioni telefoniche. Ben presto il cerchio si stringe attorno a loro. Si incrociano da Treviso a Napoli, passando per l’Umbria le attività dei detective. Che in poche settimante riescono a mettere assieme tanto di quel materiale accusatorio sui sospettati che il gip di Trieste non ha alcuna difficoltà a firmare le relative ordinanze di custodia cautelare in carcere. Che vengono eseguite in contemporanea dalle Squadre Mobili delle regioni interessate dall’inchiesta. Viene ritrovata anche la Bmw dei sopralluoghi, un paio di pistole e altro materiale nelle case degli arrestati.

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