Bastia

Rocky e Di Rocco, che pugni ragazzi

 di GIANNI AGOSTINELLI



STAGIONE di box, questa. Da quella su pellicola, coi ciak “a salve” sul ring di Sylvester Stallone e del suo Rocky 6, al gong, quello vero, quello che decide nel bene o nel male le sorti di una carriera. Il gong che farà scattare come una molla Michele Di Rocco al centro del ring, a mulinare pugni, a tenere alta la guardia, a studiare l’avversario, cercando di mandarlo al tappeto. Venticinque anni ancora da compiere, partirà dalla sua Bastia Umbra per atterrare in Finlandia, Helsinki, dove ad attenderlo martedì sera, all’altro angolo del ring, ci sarà il padrone di casa Juho Tolppola. Si combatte per il titolo dell’Unione Europea professionisti, categoria superleggeri. Cintura che Di Rocco porterà con sè in valigia dopo averla conquistata a Grosseto il giorno di Santo Stefano battendo Marinelli.
In una valigia la cintura di campione, nell’altra qualcosa di più delle trite e ritrite “belle speranze”. Perché? Motivi ce ne sono. In ordine sparso: la scheda del pugile urla forte e chiaro le 14 vittorie, un pari ed 8 ko tecnici ottenuti prima del limite. In bacheca sono finiti altri allori. Eccoli: Di Rocco è campione italiano, campione mondiale junior e campione dell’unione europea.
E non ci si dimentichi che sui suoi 63 chili, un fascio di nervi e potenza, hanno scommesso in molti. Nino Benvenuti ad esempio si è sbilanciato con un paragone mica da ridere: Ray Sugar Robinson. Uno da enciclopedia della box. Michele s’è scelto come idolo Muhammad Alì. Neanche lui c’è andato leggero. Il suo allenatore, il maestro Gerardo Falcinelli che lo segue dai primi pugni, è certo che Michele sia pronto per la vittoria, per confermarsi campione e per poter fare ancora un salto nel ranking mondiale. Arrivando così a combattere per cinture più importanti, nuove sfide in giro per il mondo con base di partenza sempre la sua Bastia, sua moglie i suoi figli, la sua numerosissima famiglia di origine nomade e la sua voglia di metterli tutti ko. 

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