Bastia

Quasi cento anni per i quattro

 OMICIDIO MASCIOLINI CERCAVANO UN «TESORO» CHE NON ESISTEVA 
 
 
Inferno da «Arancia meccanica»: uccisero l’anziano pensionato
 
 LE AMMISSIONI


Dopo giorni di interrogatori i quattro sono capitolati


di ANGELA ROTINI
— PERUGIA —
NOVANTASEI ANNI di carcere per un omicidio efferato, ingiustificabile, feroce. La sentenza per gli assassini del pensionato di 85 anni, Luigi Masciolini, ucciso dopo una notte da «Arancia meccanica», preso a calci e pugni e poi legato al letto accanto alla moglie ottantenne, il tutto per un pugno di spiccioli, poco più di 800 euro, è arrivata ieri pomeriggio. Il gup di Perugia, Marina De Robertis, dopo essersi ritirata in camera di consiglio per circa due ore e mezza, ha emesso il suo verdetto: 30 anni ciascuno per Bruno Albini, 34 anni, originario di Viterno, Tomas Poropat, 24 anni di Roma e Francesco Rota 35enne di Genova accusati di rapina, omicidio volontario e lesioni. Sei anni di carcere per rapina, invece, per il quarto componente della banda, Antonio Scozzafava, 27 anni di Crotone, che, secondo la ricostruzione accusatoria, quella tragica notte avrebbe fatto da palo. Il Gup ha quindi accolto in pieno le richieste del pm, Manuela Comodi, e si è riservata 90 giorni di tempo per depositare la sentenza. Ieri mattina, a fare le loro requisitorie in aula, erano stati gli avvocati delle difese che avevano chiesto per i loro assistiti la derubricazione del reato da omicidio volontario a preterintenzionale. Per i legali, quella notte, Albini, Poropat, Rota e Scozzafava, hanno agito per rubare ma non per uccidere. Gli avvocati hanno già annunciato il loro ricorso alla Corte d’Appello. Di «condanna ingiusta che la Corte d’Appello non può non riformare» ha parlato l’avvocato Daniela Paccoi, legale di Bruno Albini, secondo la quale «non c’è traccia, nella volontà degli imputati, di voler uccidere Masciolini». Di «entità della pena assolutamente esagerata» ha parlato, invece, il legale Silvia Egidi che, insieme a Maria Di Rocco, difende Poropat. «Il mio assistito — ha detto il legale — quella notte si è recato sul posto esclusivamente perché sapeva di fare un furto. Ipotizzare che addirittura abbia concorso nell’omicidio è una cosa assurda».


«UNA SENTENZA profondamente ingiusta e non proporzionata al ruolo svolto dal nostro assistito — hanno replicato al verdetto gli avvocati di Rota, Giulio Piras e Eugenio Daidone —. Faremo sicuramente appello, confidando nel fatto che i giudici vorranno avere una diversa valutazione dei fatti ed applicare una pena giusta ed equa». A parlare di «pena eccessiva» è stato anche l’avvocato Vincenzo Rossi, legale di Scozzafava. «Tenuto conto del ruolo marginale che il mio assistito ha avuto nella vicenda — ha concluso Rossi — la pena che gli è stata inflitta è sicuramente eccessiva».
 
La rabbia dei parenti degli imputati
 
 HANNO ASSISTITO alla lettura della sentenza, Albini, Poropat e Rota. Assente, invece, Scozzafava, che ha rinunciato ad essere presente. Scortati in tribunale dagli agenti della polizia penitenziaria, hanno trovato fuori ad aspettarli amici e parenti che hanno atteso il verdetto. Un verdetto ‘amaro’ che ha fatto piombare nello sconforto le famiglie degli imputati. «Non è giustizia questa – ha detto in lacrime la madre di Tomas Poropat —. Il mio ragazzo ha soli 24 anni. Era poco più di un bambino e ora ci morirà in carcere. Anche se ha sbagliato è troppo tutto questo».
 



«Confessione» in diretta, nelle stanze del carcere
 
— PERUGIA —
QUASI UNA «CONFESSIONE» in diretta. Disturbata dai rumori di sottofondo di una stanza colloqui di un carcere, «sporcata» dalle voci che si sovrappongono. Dalle parole di due parenti che nemmeno immaginano di essere ascoltati dai carabinieri. E invece la chiave di volta è arrivata da una cimice. Una microspia che gli investigatori del reparto operativo del comando provinciale di Perugia avevano piazzato nel carcere di Terni. Nella stanza riservata agli incontri tra familiari. Gli investigatori hanno aspettato intere settimane nella speranza che Bruno Albini, andasse a trovare il cognato detenuto da tre anni, Sergio Marchetti. Un nome che dice parecchio a poliziotti e carabinieri. Hanno sperato che proprio da lì potesse venire fuori qualcosa di buono per la loro indagine. Probabilmente erano già sulle tracce della presunta banda che ha agito quella notte terribile. Già sapevano dove cercare Albini, Poropat, e Hemig. Forse li seguivano, forse li ascoltavano da tempo. Cercando nelle loro parole solo conferme a quello che già era il costrutto investigativo. E cioè che i tre sarebbero andati a casa di Masciolini, in una modesta abitazione di Ospedalicchio per cercare un tesoro.


IL TEOREMA è stata sostanzialmente confermato da quella «confessione» involontaria. Albini infatti avrebbe parlato di quel fatto al parente, avrebbe addirittura aggiunto che lui non avrebbe voluto arrivare a tanto. Che non dovevano legarlo — Masciolini n.d.r. — in quel modo. Avrebbe parlato di un bottino di circa 2 milioni di vecchie lire. D’altronde nessuno ipotizzava una cimice: Albini dopo oltre un anno si sentiva al sicuro e Marchetti era dietro le sbarre per lo stesso identico reato. Un’altra rapina finita nel sangue. Stavolta di un parroco. E invece i carabinieri — diretti dal pubblico ministero Manuela Comodi — avevano visto giusto facendo diventare Marchetti un involontario collaboratore. Pochi giorni dopo la registrazione, quando tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati, i carabinieri hanno eseguite i fermi. 


Una notte in balìa degli assassini 
Convinti di trovare un «tesoro»
 
 
— PERUGIA —
UN DELITTO EFFERATO. L’omicidio di Luigi Masciolini, pensionato di 85 anni, massacrato a calci e pugni con la moglie, Maria Ragni, ottantenne, ridotta in fin di vita, è uno dei più feroci negli ultimi anni in Umbria. Forse il più feroce. Gli aguzzini entrarono nella casa di Ospedalicchio di Bastia Umbra, nel cuore della notte, tra il 23 e il 24 settembre del 2004, sorprendendo nel sonno l’anziana coppia. I malviventi legarano moglie e marito e li imbavagliarono. Colpirono l’uomo più volte con un oggetto contundente, riempendolo di calci e pugni. Botte anche all’anziana signora che vide morire vicino a sè il marito. Una ferocia gratuita «giustificata», a quanto emerso dalle indagini, dalla convinzione che la banda aveva di trovare nella casa di Luigi Masciolini un «tesoro». Ovvero i proventi della vendita di un terreno. Migliaia di euro, insomma e non quel magro, magrissimo bottino che alla fine i rapinatori riuscirono a mettere insieme: 800 euro, forse qualcosa in più, e qualche oggetto d’oro. L’uomo venne massacrato colpo dopo colpo, affinché dicesse ai suoi aguzzini il nascondiglio della grossa somma di denaro che loro erano convinti di trovare. E che, invece, non c’era. L’anziano pensionato tentò di far capire ai malviventi che quei contanti esistevano solo nella loro testa. Ci provo più volte, ma non ci fu niente da fare. Lo riempirono di botte, convinti che, prima o poi, avrebbe ceduto. Stessa sorte anche per la donna: picchiata selvaggiamente, legata e imbavagliata al letto, a due passi dall’armadio, costretta ad assistere alla lenta e inesorabile agonia dell’amato marito. Masciolini, è stato accertato dall’autopsia, morì per insufficienza cardiorespiratoria, dovuta con tutta probabilità alle percosse e alla conseguente frattura delle costole e al fatto che, vista anche l’età avanzata, fu costretto a rimanere imbavagliato per ore.


A SCOPRIRE il cadavere di Luigi Masciolini e a trovare Maria Ragni agonizzante fu Elide, moglie del figlio grande della coppia, Marcello. Poi l’arrivo dei soccorsi. L’ambulanza del 118 fece una gran corsa in ospedale per salvare la vita alla donna. Per Masciolini non ci fu altro da fare che constatarne il decesso. Le indagini dei carabinieri del comando provinciale di Perugia non trascurano un particolare, fino all’arresto della banda.
Annalisa Angelici 

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