Bastia

Prodi ride ma il referendum l’ha perso lui

di RENATO BESANA


Contrordine compagni: da festeggiare c’è ben poco. I primi a rimetterci, dalla vittoria dei no, sono Prodi e il suo nutrito codazzo ministeriale. La Casa della Libertà era sul punto di consegnare loro, se la riforma della Costituzione avesse superato la prova referendaria, gli strumenti che avrebbero risolto gran parte dei problemi di cui soffre la maggioranza, oggi costretta al voto di fiducia anche per ordinare un caffè al bar. Un premier più forte avrebbe costituito un efficace deterrente ai capricci della sinistra radicale, indotta dallenormeanti- ribaltone a non tirare troppo la corda. A queste condizioni, il qui comando io del Professore, pronunciato in campagna elettorale, avrebbe assunto accenti meno velleitari. Allo stesso modo, il potere di nomina e di revoca dei ministri in mano al presidente del Consiglio sarebbe stato un incentivo alla disciplina interna che oggi è da sette in condotta. In cambio, i Bertinotti, i Diliberto e i Pecoraro Scanio non avrebbero dovuto temere di essere sostituiti, nella compagine di governo, dall’acciuga bianca di Casini, Follini e Tabacci, che fanno umilmente anticamera dal giorno successivo alle elezioni politiche e si apprestano, non richiesti, a togliere d’imbarazzo D’Alema sulla questione Afghanistan; la voglia di tradire è tale, che lo fanno anche gratis. Immaginiamo poi, a riforma entrata in vigore, la probabile composizione del senato federale: la presenza dei governatori, aggiunta all’esito delle urne, l’avrebbe trasformato in un soviet. Il ridimensionamentodei poteri assegnati al presidente della repubblica, che sarebbe stata utilissimo al Berlusca in era Ciampi, con Napolitano non avrebbe sortito effetti apprezzabili: già ora, è come se il Quirinale fosse abitato da un fantasma. Quanto alla Corte costituzionale, che dadecenni guardadaunasola parte, con l’integrazione dei membri nominati dalle regioni avrebbe potuto essere, se possibile, ancor più schierata. La stessa devoluzione – ma come si può sperare di vincere con un parola così? – sarebbe andata a vantaggio di chi detiene il potere nelle amministrazioni locali, cioè i rossi, senza speranzaalcuna di ricambio. La sinistra, infatti, quando governa si rafforza; la destra, nelle stesse condizioni, lavora alla propria disfatta. Le riforme, da noi, si ritorcono di solito contro chi le propugna. È accaduto con le leggi elettorali: il semi- maggioritario travolse la sinistra, che l’aveva escogitato per vincere, così come il neo- proporzionale, con cui la destra sperava di salvarsi, ne ha determinato la sconfitta ( brogli a parte). In questo Paese dove tutto gira al contrario, tra i più intransigenti propugnatori del no c’erano i partiti che si dicono comunisti insieme ai vescovi, ovvero gli eredi e interpreti di culture politiche storicamente estranee, se non avverse, al principio di unità e identità nazionale. Paradosso soltanto apparente: nei fatti, le due sacristie difendono lo Stato, inteso quale contenitoredi apparati burocratico- assistenziali, continuandoa detestare la nazione, ovvero i cittadini che vivono entro i suoi confini. Tirate le somme, se i sì avessero avuto la meglio, la Casa delle Libertà si sarebbe tolta una soddisfazione, ma alprezzo di allontanare le prospettive di riscossa. Ha vinto la grande terronia italica, che è latitudine spirituale più che geografica, posta all’incrocio tra ideologia, oligarchie, clientelismo e pregiudizio antimoderno. Ci sarebbe stato davvero da preoccuparsi se il risultato del 15 e 16 giugno fosse stato di segno opposto. Avrebbe significato che la riforma era prontaaservire i vecchi equilibri di potere che si riparano sotto l’ombrello della sinistra. Non sono i sistemi istituzionali, ci perdoni il professor Sartori, a garantire il buon governo: funzionano benissimo la Francia centralista, la Germania federale e laSpagna monarchica, presidenti, cancellieri e primi ministri. Da noitutto si corrompe. Afare la differenza sono gli uomini e le classi dirigenti. Il centrodestra, finché è ancora in tempo, farebbe bene a pensarci.

Exit mobile version