di SALVATORE DAMA
ROMA – «Tutte sciocchezze», «Ne uscirà pulito», «Manterrà l’onore»: scorri i commenti fatti dalla sinistra sull’avviso di garanzia spedito a Romano Prodi e scopri che è tutto un minimizzare l’inchiesta di Catanzaro e il coinvolgimento del Professore nelle indagini del cosiddetto Calabria-gate. Dimissioni? Ma neanche a parlarne. «C’è o non c’è la presunzione di innocenza?», dicono oggi. Già. Ma cosa accadde, a parti invertite, quando toccò a Silvio Berlusconi ricevere l’odioso pezzo di carta con marca da bollo mentre siedeva a Palazzo Chigi? Proviamo a ricostruirlo, quel giorno. 22 novembre 1994. Il Cavaliere, come Prodi l’altro ieri, scopre di essere indagato attraverso i mezzi di informazione. Le analogie tra i due casi, tuttavia, cominciano e finiscono qui. Perché, a differenza di oggi, all’epoca l’opposizione chiese le immediate dimissioni del presidente del Consiglio. Volevano la testa di Berlusconi su un piatto d’argento. E alla fine l’hanno avuta. Di lì a poco, infatti, il governo di centrodestra avrebbe posto fine alla sua brevissima esperienza a causa del ribaltone leghista. Ma fu in quel giorno, il 22 novembre, che avvenne l’impallinamento più selvaggio del Cavaliere. Molti suoi detrattori di ieri, quelli che gli intimarono gli otto giorni, oggi siedono comodamente in un governo guidato da un premier indagato. La questione morale, stavolta però, neanche li sfiora. Esempi? Prendiamo Fabio Mussi . Attualmente compassato ministro dell’Università e della Ricerca, tredici anni fa era focoso vice presidente dei deputati progressisti federativi. E diceva: «L’avviso di garanzia a Berlusconi è la goccia che fa trabbocare il vaso. Questo governo se ne deve andare. Anzi, approvi prima la Finanziaria e poi se ne vada». Come dire, si sorbisca prima la scocciatura di far quadrare i conti dello Stato. E poi a quel paese. «Io sono garantista», premetteva Fausto Bertinotti , allora segretario di Rifondazione Comunista, «ma Berlusconi scelga la strada delle dimissioni». Un filo di contraddizione? Ma no, perché l’attuale presidente della Camera argomentava: «Per qualunque cittadino l’avviso di garanzia non è indice di colpevolezza. Ma Berlusconi non è un cittadino qualunque». La logica bertinottiana: tutti sono uguali, ma il Cavaliere è più uguale degli altri. Sferzante, come suo solito, Massimo D’Alema che, a proposito dell’inchiesta del pool di Mani Pulite, diceva: «Sfido Berlusconi a utilizzare il solo strumento che può consentire una seria verifica, le dimissioni». E nel frattempo lavorava alla base parlamentare del governo Dini. Il presidente del Consiglio «prenda seriamente in considerazione l’istituto delle dimissioni». Firmato Rosy Bindi . L’attuale ministra della Famiglia, poi, ironica, aggiungeva: «Berlusconi ha voluto fare politica per il bene del paese. Ora per lo stesso motivo si sollevi dalle sue responsabilità». Leoluca Orlando, oggi deputato (guarda caso) del partito di Di Pietro, nel ’94 era leader della Rete e voleva pure lui cacciare Berlusconi da Palazzo Chigi: «Mal si concilia il ruolo di imprenditore con quello di presidente del Consiglio». Quindi, suggeriva Orlando, lascia perdere il secondo e torni a fare il primo mestiere. Tra i critici del presidente di Forza Italia troviamo anche Claudio Petruccioli , oggi presidente della Rai, che, da dirigente del Pds, invitava il Cavaliere a sloggiare, seppure con un giro di parole: «Io, se avessi ricevuto un avviso di garanzia, mi dimetterei. Ma questo dipende dalla mia sensibilità personale». TIRO AL PREMIER Nel ’94, quando Silvio Berlusconi era premier per la prima volta, il Corriere della Sera anticipò la notizia di un mandato di comparizione a suo carico e tutta la sinistra invocò le dimissioni Oly COSA DICEVANO MASSIMO D’ALEMA p Sfido Berlusconi a utilizzare il solo strumento che può consentire una seria verifica, le dimissioni FAUSTO BERTINOTTI p Berlusconi scelga la via delle dimissioni. Per qualunque cittadino l’avviso di garanzia non è indice di colpevolezza. Ma lui non è un cittadino qualunque ROSY BINDI .p Berlusconi prenda seriamente in considerazione le dimissioni. Ha voluto fare politica per il bene del Paese. Ora per lo stesso motivo si sollevi dalle sue responsabilità

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