Inps e fiamme gialle in azione: una società che gestiva in franchising negozi di biancheria intima non avrebbe versato tre milioni e 600mila euro di contributi-Nel mirino una ditta di Bastia Umbra
ASSISI – Ufficialmente erano quattrocento associati in partecipazione sparsi tra l’Umbria e l’Emilia Romagna, in realtà si trattava di lavoratori dipendenti ai quali però l’azienda – una ditta di Bastia Umbra che gestisce 34 punti vendita in Umbria e in Emilia Romagna di Intimissimi e Calzedonia (entrambi i marchi, che i finanzieri non citano per nome ma definiscono “una nota marca attiva nel commercio di biancheria intima, maglieria e camicie”, sono comunque estranei ai fatti) – non pagava i contributi (secondo i calcoli della guardia di finanza pari a tre milioni e 600mila euro) grazie all’associazione in partecipazione, una tipologia di contratti con cui ad esempio assumere le commesse fingendo che siano socie dell’impresa ed evitando così di pagare loro i contributi previdenziali. A scoprire i quattrocento finti soci (più un lavoratore totalmente in nero) alla fine di dicembre erano stati gli ispettori dell’ Inps di Perugia, che individuando situazioni tali da far emergere implicazioni di natura fiscale e patrimoniale, hanno trasmesso la copiosa mole di verbali alla guardia di finanza, in particolare alla tenenza di Assisi e al comando provinciale di Perugia. “E’ stato un lavoro intenso e particolarmente delicato – spiega il direttore regionale Inps, Generoso Palermo – che ha impegnato i nostri ispettori per mesi e che ha ribadito ancora una volta quanto determinante, ai fini della lotta all’evasione in generale, sia la sinergia fra i vari istituti di controllo”. L’operazione fiamme gialle/Inps rientra in particolare nell’ambito delle attività di contrasto che,intensificando i controlli nei settori economici maggiormente a rischio, permettono di scoprire irregolarità di natura contributiva e fiscale ma anche altri illeciti collegati al mercato del lavoro sommerso: dalle indagini è emerso in particolare che i quattrocento lavoratori erano inquadrati come associati quando in realtà avevano un rapporto di lavoro subordinato. “Determinanti – aggiungono le Fiamme gialle -sono state le interviste che i finanzieri hanno fatto ai lavoratori, acquisendo numerosi e incontrovertibili elementi da parte di persone che in varie epoche hanno svolto attività lavorativa per conto della società controllata. Quanto emerso è stato segnalato ai competenti uffici per avviare l’adozione dei provvedimenti in materia contributiva e previdenziale conseguenti alla riqualificazione della tipologia di attività prestata dai lavoratori”. Secondo alcune stime non ufficiali,in Italia l’associazione in partecipazione riguarda circa 53mila persone, molte delle quali di fatto lavoratori dipendenti ‘mascherati’, tanto che nei mesi scorsi la Cgil ha lanciato una campagna nazionale dal sito www.dissociati.it per smascherare le aziende che usano in maniera impropria l’associazione in partecipazione, i cui vantaggi sono molteplici: con i soci si condividono infatti sia gli utili (se il datore di lavoro guadagna) sia le perdite (qualora il bilancio chiuda in rosso) ma c’è anche massima flessibilità per quanto riguarda l’orario di lavoro, un risparmio sui contributi previdenziali e una retribuzione del lavoratore (formalmente associato agli utili) minore rispetto a quella che si dovrebbe pagare assumendolo a tempo indeterminato.
di Flavia Pagliochini

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