Bastia

Maria, la madre che spiegò a suo figlio chi è una donna


L’articolo terzo classificato del Premio Maria Pia Bruzzichelli 2008


Maria era una donna umbra. Nella sua non breve ma tribolata vita non si è mai posta la domanda se era al centro del mondo o se era in un’isola o tantomeno se condivideva la sua terra con qualcuno. Fin da bambina era stata il cuore, fermo, deciso prima della sua famiglia di origine e poi di quella che, ventenne, decise di formare. Poche le sue convinzioni ma ben salde: la fede in Dio, l’amore incondizionato per tutti i membri della sua famiglia. Dei fascisti che affascinarono il suo amato padre ed i suoi fratelli pensava che li aveva privati di entrambi, sia pure in diverse maniere; soprattutto odiava quel dover fare sfoggio di appartenenza ad un ideale, quale esso sia, con veemente ed oltraggiosa violenza. Per questo forse non finì mai le scuole. Gli anni della sua giovinezza furono anni di cambiamento epocale non solo per Maria ma per tutte le donne umbre. A quegli anni risale la sua formazione culturale. Da completa autodidatta. Del tutto priva di indicazioni sistematiche, leggeva di tutto. Ma come donna le interessavano le emozioni più intime del suo essere. Perciò, quando divenne madre, non si stancava di ripetere ai suoi figli di leggere. Parlando con le nipoti amava ricordare di aver letto per la prima volta un romanzo a nove anni: “Via col vento”. Da allora non aveva più smesso di cercare nelle pieghe dell’animo femminile le ragioni del suo essere donna. Nascevano in quel periodo le prime riviste femminili e lei apprezzava autori come Fernanda Pivano, Elsa Morante, Anna Banti, ma non trascurava però scrittori come Hemingway, E Scott Fitzgerald, Balzac e Flaubert insieme all’innovativo Moravia. Di quest’ultimo criticava l’estrema crudezza nel capire la psiche femminile. Affermava testualmente che sua moglie, la Morante, doveva ancora fargli capire la differenza tra sesso ed amore. Solo il secondo, come invoca il Vangelo, rende liberi. La sua attività, volta a cercare le ragioni dell’essere donna negli anni Cinquanta, non era certo tra le principali, era tra le più appassionanti. Ma quello che più contava erano “i soldi” per mangiare e per vestirsi decorosamente e di quelli c’è ne erano veramente pochi in famiglia. Maria, da giovane inesperta lavoratrice finì, come molte sue amiche, per fare “la tabacchina” per il cavalier Giontella. Industria che inquadrò tra le sue file migliaia di donne umbre, con uh salario poco superiore alla sussistenza. Ma lei, che orgogliosamente rivendicava il ruolo di donna lavoratrice libera ed orgogliosa del salario faticosamente percepito, non dimenticava le umiliazioni subite. Ad esempio per ottenere quanto oggi per le donne è sacrosanto diritto, ma anche per superare quelle sottili ed infamanti discriminazioni perpetrate in suo danno. Citava a questo riguardo il trattamento contributivo riservato a lei ed ad altre dipendenti. In cinque anni di lavoro duro le pagarono solo la contribuzione che le spettava in coincidenza con la prima maternità. In quegli anni ed in quelli immediatamente successivi non bastava la coscienza dei propri diritti: non v’erano strumenti di sorta che si potessero far valere di fronte a chi era tenuto a far rispettare gli obblighi dei datori di lavoro. Maria prese coscienza del fatto che la maggior sensibilità e consapevolezza delle donne era sfruttata a proprio vantaggio dagli uomini. E a chi gli faceva notare di essere troppo dura rispondeva che ciò andava avanti da secoli e alle più sprovvedute suggeriva di leggersi il “Bel Ami” di Maupassant. Al che le sue conoscenti rimanevano per lo più basite o perché non conoscevano l’opera ed il suo autore o molto semplicemente la ritenevano una lettura riservata agli uomini. Ma è li che Maria scoprì il rapporto perverso tra sesso e potere impostato da quella società maschilista che le negava i suoi sacrosanti diritti. Nacquero i primi due figli. Ma la vita non sembrò sorridere a questa “donna di vera donna”. Il suo cuore così fermo, così determinato nell’assumere posizioni rivoluzionarie, cedette: i medici le diagnosticarono una stenosi della valvola mitralica del muscolo cardiaco. La malattia per l’epoca aveva scarsi rimedi terapeutici, se non un intervento chirurgico, che negli anni a venire fu coraggiosamente affrontato. Essa fu vista da Maria come un segno del Signore. Non una croce da portare, ma   di una missione laica che consisteva in un impegno più coerente con la sua fede in, tutti i campi della sua vita. Insomma una sorta di Quaresima alla fine della quale c’era anche per lei una Redenzione. Per questo non rinunciò ad aver un terzo figlio a rischio della vita. Vita che da allora in poi consacrò all’educazione della prole. I suoi precetti pedagogici erano per la verità molto semplici, ma solo apparentemente. Ai primi anni della vita dei ragazzi dedicò l’insegnamento dei principi della fede cattolica, ma senza alcun imposizione di obblighi. La fede, diceva lei, è un dono del Signore: c’è chi lo raccoglie prima e chi dopo, l’importante è sapere dove cercare. In secondo luogo, crescendo, pretendeva dai figli una coscienza politica democratica, ovvero rispetto per tutti i cittadini a prescindere dalle opinioni e soprattutto dal sesso. Ben presto i figli maggiori presero democraticamente la loro strada che non era dissimile a quella di tanti sessantottini. I principi erano saldi ma nuovi erano i modi di rapportarsi con i genitori e con il mondo degli adulti. Al suono di Sgt. Pepper’s lonely heart band e di Lady Jane erano altre e ben più interessanti le ambizioni dei giovani. Maria condivideva; partecipava ai sogni dei figli come fossero suoi, capiva però che il futuro, dà lei preparato, era ormai nelle loro mani. Certo lei come donna non poteva non condividere “il libero amore”, ma l’Amore che lei aveva insegnato ai suoi ‘figli era quello di Paolo di Tarso non quello della Sorbonne di Parigi o di Berkeley in California. All you need is love cantavano i suoi figli, ma lei scuoteva la testa e diceva: “La verità vi farà liberi”. Di tutti questi discorsi rimaneva attento ascoltatore e depositano il figlio minore che cominciò a divenire anche il preferito. Forse perché si erano trasmessi vicendevolmente sentimenti ed ideali. Si rivelò a lei un figlio che capiva anche la condizione delle donne. La consonanza di sentimenti tra queste due anime affini raggiungeva livelli di comprensione intima ed intellettuale elevate. E in quegli anni di cosiddetta liberazione della donna dalla prepotenza del mondo maschile non poche furono le discussioni tra i due su questa materia. Il figlio minore, tuttavia, non poteva rallentare gli effetti di una malattia che avrebbe richiesto nuove prove da sua madre. L’unica gioia era per lei parlare con suo figlio di cosa aveva significato essere donna, madre, moglie. Di spiegargli, senza alcun pudore tipico delle donne della sua età, tutti gli aspetti più intimi delle donne. Le ultime parole coerenti che Maria pronunciò al figlio riguardavano le donne: “Amale, Amale tutte, ma rispettale”. Maria aveva 74 anni. La sua vita era stata un incessante tentativo di comprensione e superamento di regole imposte dalla società: prima quella fascista, poi quella della ricostruzione e del miracolo economico, infine quella più recente del 1968 e degli anni seguenti. Ne era uscita sempre con le idee chiare e con profonda preveggenza delle conseguenze.
ROLDANO BOCCALI

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