di SONIA BALDASSARRI
BASTIA UMBRA- Un lungo commosso applauso ha salutato il feretro di Stefano De Nigris all’uscita della cattedrale di San Michele di Bastia Umbra. Parenti, amici, colleghi e conoscenti uniti dall’affetto profondo per l’uomo e lo sportivo. Il giorno di Pasqua intorno alle 13,30 sì è spento il tecnico dell’Angelana. Ha provato a lottare con tutte le sue forze e con la grinta che lo contraddistingueva, ma il male incurabile che lo aveva colpito un po’ di mesi fa ha vinto. «Quella di Stefano è una lezione di vita, un messaggio per tutti noi, dobbiamo avere il coraggio di vivere». Poche parole ma che lasciano il segno quelle pronunciate dal parroco nell’omelia. Nella chiesa stracolma di gente risuona un silenzio assordante. «Non c’è bisogno che io ricordi la persona straordinaria che era perché lo state facendo voi con la vostra presenza, così tante persone a rendergli omaggio sono testimonianza di quanto fosse amato e stimato». A salutare Stefano nel suo ultimo viaggio ieri pomeriggio c’era una massiccia rappresentanza del calcio umbro, in testa il presidente del Cm Luigi Repace ed il vice presidente vicario Giuseppe Palme-tini. E poi amici e colleghi (c’era anche Seme Cosmi). E ancora, solo per citarne alcuni, Alvaro Arcipreti, Roberto Damaschi, Lanfranco Chinea, Massimo Roscini e Paolo Bartolucci, Moreno Giacchetti che fu suo compagno di squadra a San Sisto. Tutti stretti attorno alla famiglia di De Nigris. Toccante il commento di Paolo Flamini, il decano degli allenatori umbri: «Ho perso un amico, il dolore è troppo forte». Cosi Fabio Cagiola: «Ricordo quando a Coverciano avevamo seguito il corso, eravamo in camera insieme, queste vicende ti spezzano qualcosa dentro, e lasciano senza fiato anche un tipo esuberante come me». La bara è stata portata a spalla dai giocatori dell’ Angelana che vi hanno adagiato sopra la maglia autografata. Al fianco, le sciarpe dei giallorossi e del Bastia, con le due tifoserie unite nel dolore. Sopra, le rose gialle e rosse portate dai ragazzi del settore giovanile angelano, in divisa pure loro come i grandi. Prima della conclusione delle esequie, il capitano dell’Angelana Luca Bordichini si è fatto portavoce del pensiero dello spogliatoio: «Mister, eri una persona speciale e questo lo si capiva già dal colore dei tuoi capelli: rosso come la passione per il tuo lavoro, rosso come il fuoco che accendevi in noi prima della partita, rosso come il cuore, il nostro, in cui continuerai a vivere per sempre. Ti vogliamo salutare così, alla tua maniera, con quello che dicevi sempre: “Aho, e fatevela `na risata che ride nun costa niente”».
LA CARRIERA
Umbria sua patria adottiva Vinse una Coppa Italia a Todi
BASTIA- De Nigris era arrivato in Umbria nel 1982 dal Cinthya Genzano ed aveva giocato in piazze come Assisi, San Sisto, Nuova Virtus Spoleto, La Castellana, Nocera. Da allenatore ha esordito con POspedaficchio cui vinse la seconda. Seguirono Angelana (tre volte), Pontevecchio, Arrone (due volte), Nestor, Sant’Enea, Città di Castello, Todi (una coppa Italia vinta), Valfabbrica, Bastia, Nuova Gualdo. Con un passaggio anche nei professionisti, al settore giovanile del Foligno.
Mediano tutta grinta “dai piedi buoni”
Flamini: «Quella volta che voleva le noccioline»
BASTIA UMBRA- Chi lo allenato, ma anche chi ha condiviso vicende extrasportive con lui. In ognuno De Nigris ha lasciato il segno per la sua umanità. Con Paolo Flamini le strade si incrociarono a San Sisto, giusto il tempo per il primo di insediarsi e per il secondo, ancora giocatore, di andare via: «Me lo rimproverava sempre, di non averlo confermato», scherza. L’ultima volta invece, si sono incrociati a Marsciano, lo scorso 23 dicembre: «Si giocava Nestor-Subasio e ci incontrammo entrambi a vedete quella partita. Stava attento a tutto pur di evitare di peggiorare la malattia. Ricordo che voleva le noccioline, ma non sapeva se potessero fargli male. Chiamò la moglie per chiedere se poteva mangiarle e lei rispose no e io gli dicevo “Stefano, cosa vuoi che siano due noccioline”..». Carlantonio Buzzi è stato il primo tecnico umbro di De Nigris, all’Assisium: «In campo era un mediano tutta grinta racconta – grande determinazione, ottima tecnica, magari non era un grande amante a quei tempi del lavoro in allenamento, però in campo metteva l’anima. Poi è cresciuto e ha capito l’importanza del lavoro settimanale, cosa che gli è servita per diventare un ottimo tecnico….». Francesco Gabrielli era il suo preparatore, poi divenuto amico e collaboratore: «Ricordo che lo prendevo in giro perché era lentissimo — scherza Gabrielli —però aveva dei piedi buonissimi, perché veniva dal calcio a cinque Era un giocatore alla Antognoni, cuore e grinta. E di grande disponibilità sul piano umano».
Il dolore in casa Angelana Il presidente: «Era come un figlio». Bordichini: «Amico, prima ancora che tecnico»
Tarpanelli: «Ogni mattina veniva a trovarmi al ristorante»
BASTIA UMBRA – Un dolore forte, di quelli che ti segnano dentro. Lucio Tarpanelli, presidente dell’Angelana aveva con Stefano De Nigris un rapporto che andava molto al di là di quello sportivo. Era come un secondo figlio, lo aveva accolto quando era arrivato da Roma senza punti di riferimento e da allora erano diventati inseparabili: «Tutte le mattine alle sette e mezza veniva a trovarmi al ristorante – racconta in lacrime Tarpanelli – e le prime due ore del mattino da dieci anni a questa parte quasi le passavamo sempre insieme. Si confidava con me, come io fossi suo padre, per questo posso dire che è come se fosse morto un altro mio figlio. Nell’ultimo periodo nella malattia lui mi cercava e io ero pronto sempre a fargli forza al telefono o di persona. Struggente pensare che oggi non ci sia più». Rapporto filiale fuori dal campo, più burrascoso quando c’era di mezzo il calcio: «Ci si scontrava, si discuteva, come succede fra presidente ed allenatore spiega Tarpanelli – ma io volevo bene. La decisione di farlo continuare quest’anno ad allenare è stata soprattutto mia. Ricordo tante discussioni, tanti scontri, lui che si arrabbiava e mi diceva: “Tu sei peggio di Mussolini, tanto fai sempre come vuoi. Se non ti sta bene quello che faccio, cacciami” e se ne andava, per poi tornare due ore dopo e fare pace».
Luca Bordichini, capitano dell’Angelana, del tecnico era anche amico fraterno. Si conobbero a Bastia: «Si faceva volere bene- dice era sempre pronto allo scherzo, a sdrammatizzare, a vedere il lato positivo di ogni cosa. Mi ha portato spesso nelle sue squadre, ma quello che più conta è il rapporto che avevamo fuori, straordinario. Anche nel momento difficile per lui, cercava sempre di tenere alto il morale della squadra, ma si vedeva che non stava bene. Per noi vederlo venire al campo, dirigere gli allenamenti, era uno stimolo in più. Ecco, il calcio era la sua passione e non l’ha mai voluta abbandonare nemmeno mentre era ancora in cura, è venuto a Città di Castello, sotto la neve. Era felice…».
E.LOM.