Bastia

l’obama del po


 
         
Vittorio Feltri



Altro che Veltroni, il vero Obama all’amatriciana, pur pallido come una candela, è Franceschini. Spetta a lui l’Oscar della demagogia. A una settimana dall’investitura, il nuovo becchino del Partito democratico ha lanciato al governo la sua proposta anticrisi del tutto in sintonia con il programma del presidente abbronzato. Ecco la trovata: un assegno mensile agli italiani che non lavorano, in modo possano tirare a campare nell’attesa di tempi migliori.


Franceschini dimostra così di essere uno con le idee chiare su come mandare a rotoli subito il Paese sull’orlo del precipizio. Il sogno di ogni cittadino di sinistra, specialmente meridionale, è incassare un sussidio senza “faticare” e arrotondarlo con una occupazione naturalmente in nero, esentasse.


Il segretario dal volto di bravo ragazzo, non avendo mai lavorato in vita sua, ha colto l’umore della base e con aria sorniona si è rivolto a Silvio Berlusconi: «Vogliamo dialogare? Sono pronto. Tu porti in Consiglio dei ministri il mio piano di sostegno ai disoccupati, e il Pd ti dà una mano a farlo passare». Una vera prova d’amicizia: io ti carico la pistola, tu te la punti alla tempia e premi il grilletto; poi cominciamo a discutere pacatamente.


Un discorso più balengo giusto Obama poteva farlo. Il quale in un mese di attività presidenziale ha provocato all’America maggiori danni di quanti ne abbiano fatti i banchieri in dieci anni di mutui gonfiati concessi a cani e porci. L’indebitamento degli Usa, causa la conduzione nera della Casa Bianca, ha raggiunto alte quote mentre il Pil è precipitato a valle e sul fondo sta.


Franceschini, incantato dalle prodezze di Obama, cerca di eguagliarle e si tuffa nel cerchio di fuoco: denaro a tutti quelli che ne hanno (o ne denunciano) poco. Chi sborsa? Lo Stato, ovvio. Le casse sono vuote? Non importa, bisogna obamamente osare e sfondare il tetto del debito pubblico; poi qualche santo provvederà. Questa è politica moderna, non la lesina del ciabattino Giulio Tremonti da Sondrio. In confronto a Franceschini, Keynes era un coglione.


La sinistra non riesce a liberarsi dalla schiavitù di Zelig; a forza di seguire la linea dei comici, e di credere nel verbo di Benigni, non distingue più il cabaret dalla finanza; e il suo attuale leader è convinto che la propria gag sia la sintesi d’una seria teoria economica. Non immagina nemmeno di aver detto una storica cazzata che squalifica non soltanto lui, ma l’intera squadra di dirigenti Pd. Contenti loro…


Per rimanere nell’area progressista, due parole sull’Unità davanti a un tragico bivio: tagliare le spese e quindi l’organico oppure portare i libri contabili in Tribunale. L’editore Soru, infatti, ha perso le elezioni, e si è rassegnato, ma non si rassegna a perdere quattrini in una impresa editoriale che registra più debiti che copie vendute.


Siamo alle solite. Si prende un giornale mezzo morto, si affida a un dottore l’incarico di rivitalizzarlo, si spendono soldi in una terapia d’urto; il cadaverino però non si rianima, e l’editore si irrita per aver investito invano e è terrorizzato alla prospettiva di pompare inutilmente altro denaro nell’azienda.


La tentazione di chiudere è quasi irresistibile. Ma fallire è sempre seccante, in particolare se si tratta di un quotidiano politico. Meglio ripiegare su un ridimensionamento complessivo: riduzione del personale e delle spese per resistere ancora. Risposta dei giornalisti: cinque giorni di sciopero, come servissero a qualcosa. S’è mai vista un’impresa risollevarsi grazie all’astensione dal lavoro? Ma l’Unità è impermeabile al senso comune e il suo destino appare segnato.


Sarebbe ingiusto e ingeneroso attribuire le responsabilità del tonfo al direttore, Concita De Gregorio. Lei ha dato quello che poteva dare: poco. I problemi dell’informazione su carta in questo momento sono troppo grandi per essere risolti da una sola persona per giunta afflitta da un ego ipertrofico: il mercato si è ristretto e immiserito, ma il numero delle testate non è diminuito e gli spazi vitali sono insufficienti. Tanto più che la concorrenza televisiva e di internet è ormai asfissiante.


Converrà a tutti farsene una ragione, anche ai colleghi dell’Unità i quali si mettano in testa un concetto: la sinistra si è svaporata e la sua stampa può solo appassire, tranne alcune eccezioni che non fanno la regola.


Infine, una nota amara dedicata al gioielliere romano suicida. Poveraccio, aveva ucciso un paio di rapinatori nel suo negozio, spesso assaltato dai criminali e, invece di dargli una medaglia al valor civile, gli hanno negato l’esimente della legittima difesa. Ci ha sofferto ed è impazzito.


Per il bene del Paese dovrebbe suicidarsi anche chi ha fatto, e non cambia, una legge tanto iniqua. Non succederà. I signori legislatori sono impegnati a spedire in galera i giornalisti che pubblicano le intercettazioni malandrine.

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