di VITTORIO FELTRI
Abbiamo aspettato questo giorno quasi due anni e proprio quando avevamo perso ogni ottimismo è arrivato il patatrac. Stentiamo a credere ai nostri occhi. Leggo e rileggo il dispaccio di agenzia che dà il fausto annuncio: l’Udeur dopo essere uscito dalla maggioranza, causa la nota vicenda giudiziaria di cui è protagonista e forse vittima, ritira anche l’appoggio esterno al governo. Il gabinetto di Romano Prodi, il più ostinato premier della storia mondiale, è tecnicamente in crisi. Sono passate da poco le 18 e ancora si ignorano le reazioni del Palazzo. Se il presidente del Consiglio avrà un soprassalto di orgoglio, stavo per scrivere dignità, si recherà da Giorgio Napolitano e rassegnerà le dimissioni. Mi auguro ci risparmi appendici polemiche, tentativi velleitari di permanenza magari confidando in un miracolo o nel sostegno di qualche pezzo ubriaco dell’opposizione. Con tre senatori di meno a Palazzo Madama, l’esecutivo non ha più l’esiguo margine di vantaggio su cui ha contato, con l’au silio non sempre limpido dei pannoloni, per reggere fin qui. Basta. Partita chiusa. Per cortesia, caro Professore sparisca. Il nostro spirito di sopportazione si è esaurito in un biennio durante il quale il sentimento più frequente è stato il disgusto. Spalanchi le finestre di Palazzo Chigi, c’è bisogno di aria fresca. Sono stati venti mesi da incubo. Non ho voglia di ricordarne i momenti peggiori. Nella memoria galleggiano soprattutto dei volti che hanno reso drammatiche le mie peregrinazioni oniriche nella lunga notte politica: il viso di Visco, quello di Padoa-Schioppa, quello di Pecoraro Scanio, solo per citarne alcuni. Adesso conviene festeggiare, ho già collocato con cura una bottiglia di champagne in frigorifero. Non appena avrò concluso l’articolo farò saltare il tappo. Poi sarà quel che sarà. Avremo tempo in settimana di compiere analisi più lucide, non influenzate dall’euforia di cui siamo preda. E dire che la giornata non era nata sotto ottimi auspici. Le notizie piovute sui tavoli di redazione non inducevano al sorriso: trame nel sottobosco politico finalizzate a fornire ossigeno al governo, voci di tentennamenti nell’Udeur, corteggiamenti a Mastella affinché demordesse nel proposito di mandare tutti al diavolo, Pecoraro Scanio che ostentava la certezza di poter godere di una solidarietà terrona allo scopo di stare inchiodato al ministero dell’Ambiente, alla spazzatura della sua vituperata e martoriata città, Napoli. Insomma si profilava un altro pastrocchio che mantenesse in piedi la premiata salsamenteria Prodi & C. Negli uffici di Libero e, immagino, nelle case di tanti italiani, era calata una cappa plumbea portatrice di depressione e cattivo umore. Quando mi accingevo a buttare giù le solite note scoraggiate e scoraggianti, ecco la folgorante lietissima novella: Mastella se n’é ito. Il mio primo commento è stato: figuriamoci. Tra dieci minuti quello lì si pente e torna indietro. Invece, guarda un po’, Clemente a forza di scherzare – faccio cadere il governo, giuro che lo faccio cadere – e di prenderci in giro sulla sua volontà di porre fine ai tormenti, e di farci dire «ma piantala cretino», si è stufato di manfrine e, per una volta nella vita, ha agito sul serio. E ha sbattuto la porta con violenza sulle facce di palta del governo. Dato il contesto nebuloso, non mi attardo in previsioni, su quanto accadrà. Mi limito a rammen- tare le vie percorribili per uscire dallo stallo istituzionale. Primo. Immediato ricorso alle urne dopo aver verificata l’im possibilità di formare un’altra maggioranza. Va da sé che si tratterebbe di votare con l’attuale legge elettorale criticata da tutti, compresi gli estensori della medesima. I rischi sono noti. Chiunque vinca sarà obbligato ad allearsi con qualcuno per creare una coalizione capace di ottenere in Parlamento il 50,1 per cento dei seggi. L’esperienza insegna che il sistema delle alleanze, per quanto omogenee, non agevola la governabilità né la stabilità. La tragedia italiana consiste infatti nella difficoltà delle decisioni, e in un Parlamento che frena invece di accelerare l’iter dei provvedimenti. Secondo. Napolitano ha ripetuto alla noia: fate le riforme, poi consulteremo gli elettori. Dal che si evince che proverà a dar vita ad un governo tecnico, di transizione o come preferite definirlo. Così, per prendere tempo ed evitare un immediato rientro in pista di Silvio Berlusconi. Il giochetto che ha in mente contrasta con l’imminen za del referendum inviso ai partiti di piccola e media dimensione, ma tacitamente o manifestamente caldeggiato da quelli grandi. Se, come sarebbe logico, soccombessero i nanetti, il plebiscito si svolgerà. Forse sarà rinviato, qualora si rinnovasse il Parlamento, però non soppresso. Per sopprimerlo serve un’altra legge. Ma chi può farla in questo frangente? Chi li mette d’accordo i partiti? Terzo. Si anima un governicchio che gestisca l’ordinaria amministrazione fino ad aprile quando si potrebbe votare il plebiscito. Quindi, in autunno, alle urne per le politiche. Attenzione però. In autunno gli elettori non sono mai stati mobilitati. Inoltre, gli effetti del referendum andrebbero accompagnati quantomeno dalla correzione dei regolamenti parlamentari, altrimenti sarebbe un gran casino. C’è il tempo di fare tutto questo? Non mi pare. La soluzione in fondo sarà quella gradita da Mastella: sciogliere immediatamente le Camere e aprire i comizi. Elezioni in aprile. E il referendum? Più avanti, molto più avanti. In modo che sia il nuovo Parlamento a scongiurarlo approvando una legge ad hoc. Per oggi è sufficiente, spero. Mastella esulta dopo aver colpito Romano Prodi
STRANO MA VERO Incredibile ma vero: Clemente si è stufato di manfrine e per una volta nella vita ha agito sul serio. E ha sbattuto la porta sulle facce di palta del governo COME FINIRÀ La soluzione del capo dello Stato sarà quella gradita al leader Udeur: sciogliere le camere e andare subito al voto. E il referendum? Più avanti, molto più avanti.
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