LETTERA A DI PIETRO

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Vittorio Feltri
 


 
Caro Di Pietro,


è arrivato il momento anche per lei di dire la verità. Ormai non è più un pubblico ministero obbligato soltanto ad attenersi ai codici; è un politico di lungo corso e come tale non può nascondersi dietro a un dito, dicendo che così fan tutti, che non si è preso un euro illegalmente, che il partito è suo ed è giusto sia amministrato – anche a livello finanziario – nell’ambito della sua famiglia, marito e moglie davanti a un fiasco di vino.


So che ci sono in ballo cause intentate da suoi ex collaboratori e ex iscritti all’Italia dei valori, e non desidero entrare nel merito di beghe tribunalizie. Ci mancherebbe. Non sono né magistrato né avvocato né poliziotto e neppure vigile urbano e non pretendo spiegazioni in punta di diritto. Non è questo il problema. Qui siamo di fronte ad anomalie che meritano una giustificazione politica.


Lei, a torto o a ragione, dopo essere stato il giustiziere della notte della Repubblica – mi riferisco a Tangentopoli e conseguenze -, si è trasferito armi e bagagli sull’altra sponda, quella delle autorità elettive, e anche in questo campo non ha rinunciato al ruolo del moralizzatore e del moralista. Una scelta legittima finché si vuole ma che implica il dovere, per chi l’ha fatta con slancio e convinzione, di essere almeno coerente.


In parole terra terra: chi predica bene non può permettersi il lusso di razzolare male e di lamentarsi se poi qualcuno lo spernacchia rumorosamente. Questo qualcuno è il Giornale che attraverso il lavoro, a mio giudizio eccellente, di Gian Marco Chiocci e di altri validi cronisti e commentatori, ha portato in evidenza una serie di stranezze del suo operato, alle quali lei ha risposto secondo il suo stile: ricorrendo alle querele. Il che rientra nelle facoltà riservate a ogni cittadino. Ma lei non è un cittadino comune, bensì un leader protagonista della vita italiana, un rappresentante del popolo e al popolo deve rendere conto, oltre al giudice. E non solo alla gente che ha votato Idv, ma a tutti.


È di dominio pubblico che suo figlio – stando a quanto si è appreso – non ha commesso reati, e che nonostante ciò si è dimesso dal partito. Ha fatto una buona cosa. Però non ha risolto l’aspetto politico delle sue telefonate malandrine per raccomandare amici e conoscenti.


L’Italia dei valori si identifica in lei, e lei è un noto moralista. Come si concilia la sbandierata vocazione per la correttezza con quanto accaduto in casa sua? Questo è niente. Come si concilia piuttosto una specchiata virtù con finanziamenti pubblici all’Idv (milioni di euro) maneggiati in tinello da lei e consorte in ciabatte?


Non dico che la disinvoltura amministrativa sconfini nell’illecito penale, non spetta a me simile valutazione. Mi limito a segnalarle che un patrimonio del genere impone una gestione collegiale, chiara e controllata in modo che su Cesare e compagna non gravi il sospetto di eccessiva scaltrezza.


La politica è già tanto criticata e, per quel che mi riguarda, non è mai criticata abbastanza. Ma lei, che fa le pulci a tutti, che spara accuse di corruzione come fossero complimenti galanti, non si sente in imbarazzo a condurre la cassa del suo partito come fosse quella di una latteria? Non si sente in imbarazzo a tenere i soldi nel bancone in cui nessuna mano può accedere tranne la sua e quella della signora?


Andiamo, non finga di non capire il senso di questa mia lettera. È stato scritto che lei si è comprato una decina di appartamenti. Beato lei, d’accordo. Però faccia lo sforzo di raccontare serenamente con quale abilità è riuscito a combinare tanti buoni affari. Abbia un pizzico di comprensione per la curiosità dei cronisti che è la stessa curiosità dei lettori. Dia loro soddisfazione. Saranno contenti di apprendere i segreti di una così spiccata propensione per il settore immobiliare, nel quale di solito gli inesperti ci lasciano le penne e non solo quelle.


Infine, la sollecito a darci prova della sua trasparenza e affidare i milioni del finanziamento a un collegio di “ragionieri” eletti nel suo partito. La smetta di toccare pacchi di banconote. Puzzano. Non è un esercizio igienicamente apprezzabile.


Non ho altro da domandarle. Per adesso.

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