di VITTORIO FELTRI
Primo pensiero. Scommetto che la maggioranza dei connazionali non ha capito un tubo di questa storia politico-giudiziaria finita secondo tradizione italiana: a tarallucci e vino. Un gran polverone, calci in bocca e negli stinchi, tavole rotonde e ottagonali, talk-show, dozzine di articoli: sembrava dovesse cadere il mondo; uno scandalo pazzesco. Sul più bello, quando ci si aspettava il botto e il crollo dei sacri monumenti della Casta, c’è stato il flop. Tanto rumore per niente. Ci vorrebbe una spiegazione. Cercherò di essere all’altezza del compito. Secondo pensiero. Antonio Di Pietro era scatenato fino a lunedì sera. A Porta a Porta ha dato l’impressione di essere ringiovanito di quindici anni. Si è rimesso la toga e si è infervorato; voce tonante, occhi spiritati, potente e prepotente zittiva quelli che tentavano di rubargli la parola. Un mattatore come ai tempi belli, quando lungo le autostrade non era raro imbattersi in scritte murali: Forza Tonino facci sognare. Mai visto un uomo sostenere le proprie ragioni con tanto vigore e tanta convinzione. Di Pietro urlava il suo sdegno: Mastella ha sbagliato a inviare gli ispettori a Catanzaro, non è giusto interferire nel difficile lavoro del magistrato, non è lecito dare la sensazione ai cittadini che, se c’è di mezzo qualche personaggio politico, viene bloccato il corso della giustizia. In certi momenti stavo per passare dalla sua parte. Trascorrono meno di 18 ore e si riunisce il Consiglio dei ministri. La tensione è alta perché il Guardasigilli ha annunciato le dimissioni a Romano Prodi. Le previsioni sono conseguenziali: va giù tutto. Forse Mastella e Di Pietro si prenderanno a pugni. Peccato non essere lì a tifare. Sarà un macello. Macello? Figuriamoci. L’intero governo (col contributo del focoso “autore” di Mani pulite) si è esaltato nell’applaudi re il figliol prodigo dell’Udeur. Massì vogliamoci bene. Per difendere la poltrona, i signori dell’esecutivo più sbilenco del globo hanno dimenticato malumori e rabbie: Clemente nun ce lassà, resta accà. The end. E vissero felici e contenti nelle loro automobiline blu scroccate al país. Chiamatelo pure qualunquismo, chiamatelo come volete, anche fetenzia. Ha dell’incredibile la marcia indietro del ministro delle Infrastrutture; e pensare che sulla sua testardaggine nel difendere gli ex colleghi delle Procure avrei scommesso la testa. Tristezza. Anche Tonino è una banderuola e lo dico con dolore, e con stupore: come ha potuto cambiare radicalmente posizione nel giro di poche ore? Un italiano vero con la cadrega incorporata, la famiglia bisognosa e la faccia foderata di lamiera. Terzo pensiero. Mastella si è preso la sua bella soddisfazione, non lo si può negare. Solidarietà voleva e solidarietà ha ottenuto. Due giorni prima aveva detto: mai più con questa sinistra. E allora? Non dico coerenza, ma un pizzico di decenza sarebbe stata apprezzata. Si sussurra che don Clemente fosse deciso effettivamente a sbattere la porta, non come altre volte che aveva fatto la sceneggiata napoletana minacciando e minacciando e poi tornando sui propri passi. Perché ha mutato idea ancora? Ieri mattina, recandosi da Prodi per consegnargli la lettera d’addio, avrebbe incontrato Giulio Andreotti col quale si sarebbe confidato: sono stanco morto, mollo tutto eccetera eccetera. Il senatore a vita, in sintesi, gli avrebbe risposto: se fai questo sei scemo, tra una settimana ti blindano e buona notte. Mastella si è sentito gelare, ma subito dopo ha provato sollievo. Se me lo consiglia un vecchio pirata quale Andreotti, debbo rimanere accà. E accà è rimasto. Ammazza che temperamento. Comunque affari suoi. La faccia è la sua. E se Di Pietro ha il coraggio di andare a spasso con la propria, dopo l’ul timo episodio, non si può vietare a Mastella di fare la stessa cosa. Quarto pensiero. Che razza di coalizione è quella che tollera una pagliacciata così? Due ministri che si beccano in pubblico, che danno spettacolo co- me comari in lite sul ballatoio. Alcuni partiti in piazza contro il governo che sostengono. Ministri che dichiarano ai quattro venti di aver risanato i conti dello Stato mentre l’Europa li richiama a un maggior rigore. Ministri indifferenti all’impazzimento dei prezzi relativi a generi di prima necessità. Ministri che se ne fottono delle tariffe folli dell’ener gia per le imprese e per le famiglie. Ministri che non abbassano la spesa pubblica e aumentano le tasse. Ministri moralisti che non hanno ridotto i privilegi principeschi della Casta. Ma che roba è questa? Perché non abolire le amministrazioni provinciali, le circoscrizioni, le comunità montane, gli enti inutili (per esempio quello del Ponte sullo stretto di Messina)? Perché non licenziare i fannulloni? Perché non costringere i comuni ad affittare a canone giusto i loro immobili anziché darli gratis ai raccomandati? O si agisce in questo modo o il debito non calerà mai. Qualsiasi azienda in difficoltà, se desidera salvarsi, anzitutto taglia i costi fissi per sopravvivere; poi aspetta la ripresa e, se viene, investe e fa festa. Altrimenti vola basso. Nossignori. L’azienda Italia seguita a spendere e a spandere e siccome non ha soldi li frega alle famiglie. Bravi, governanti del menga. Quinto pensiero. Concluso il match Mastella-Di Pietro, qual è la morale? Il Paese ha un altro eroe. O meglio un martire. È il pm De Magistris di Catanzaro, l’unico che fa un figurone. Gli hanno sottratto un’inchiesta con la quale indagava sul premier e sul Guardasigilli, trascurando altri politici cosiddetti minori, gente locale, calabrese. Un traffico di quattrini, contributi europei probabilmente destinati alle tasche di vari furbetti del palazzino o a quelle di portaborse e faccendieri di partito. Soldi sganciati dalla Ue allo scopo di finanziare progetti, attività produttive e utilizzati, invece, per alimentare clienti e parenti. Non sapremo mai un accidente. Né sapremo mai se De Magistris lavorasse bene o male. Se abbia commesso degli errori o se l’unico suo sbaglio sia stato ficcare il naso nelle faccende delicate dei notabili e dei baroni tesserati. L’unica certezza è il dubbio: l’inchie sta sarà insabbiata. Il pm di Catanzaro è stato accoppato. Già, spaziava a destra e a sinistra. La gip Forleo è stata trattata da impicciona perché spaziava a sinistra. I magistrati erano santi e beati solo quando cercavano di incastrare – invano – Berlusconi. Andate all’inferno.
Foto: ME NE VADO, ANZI NO Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha incassato la fiducia di Prodi (olycom)
Da sinistra: Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastrutture e Clemente Mastella, ministro della Giustizia
LA VICENDA
L’INCHIESTA L’inchiesta, condotta dalla procura di Catanzaro, il 18 giugno scorso aveva portato all’emissione di 24 avvisi di garanzia ad esponenti politici calabresi, al capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, e ad alcuni imprenditori. Al centro delle indagini, gli intrecci fra un presunto comitato d’affari che gestiva fondi europei e una loggia massonica con sede a San Marino. PRODI COINVOLTO Nella vicenda vengono coinvolti anche il ministro della Giustizia Clemente Mastella e il premier Romano Prodi, indagato, per alcune telefonate con imprenditori e personaggi coinvolti nell’inchiesta. LE INTERCETTAZIONI Scoppia la polemica sull’uso delle intercettazioni e il Guardasigilli chiede al Csm il trasferimento cautelare del pm di Catanzaro Luigi De Magistris, titolare dell’inchiesta, e del procuratore capo Mariano Lombardi. Secondo il Guardasigilli, gli ispettori avrebbero rilevato gravi anomalie. La questione passa al Csm. INDAGATO MASTELLA Venerdì scorso Libero rivela l’iscrizione di Mastella nel registro degli indagati. La notizia viene “ufficiosamente” con fermata dalla Procura. Il ministro, però, si dichiara «estraneo alla vicenda e sereno». LA REVOCA Sabato la decisione del procuratore generale di Catanzaro di avocare a sè l’inchiesta sottraendola al pm De Magistris. SCONTRO POLITICO Le polemiche investono il governo. Di Pietro chiede le dimissioni di Mastella, che a sua volta definisce l’ex pm un “analfabeta” del diritto e minaccia di non votare il decreto fiscale. Ieri, in Consiglio dei ministri, la mossa di Prodi che ha confermato la fiducia a Mastella e, nel contempo, ai magistrati.
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