Sergio Casagrande


Una vita umana non puo essere paragonata a un numero. E proprio per questo, quando si parla di sicurezza nei luoghi di lavoro, i numeri vanno presi con le molle. L’incidente in cui giovedì pomeriggio ha perso la vita un ventisettenne di Bastia Umbra, schiacciato dal pezzo di un carroponte che ha ceduto all’improvviso, ripropone, in tutta la sua drammaticità, la gravità di una situazione che continua ad esistere. E a persistere: in Umbria, come nel resto d’Italia. Le cifre, quindi, non devono trarre in inganno. E, soprattutto, non devono fare abbassare la guardia o deviare l’attenzione su riflessioni che, puntualmente, si rivelano superflue, se non proprio sbagliate.
Chi, fino al giorno prima di quest’ennesimo incidente, mostrava soddisfazione per i risultati delle statistiche, viene smentito dai fatti. Perché di lavoro, purtroppo, si continua a morire. O, come è accaduto in tanti altri gravi infortuni degli ultimi mesi, per colpa del lavoro si continua ad essere segnati in maniera indelebile.
Fin tanto che ci sarà anche un solo morto, un solo ferito, o una sola famiglia lasciata nel pianto e nella disperazione, non si potrà dire di aver vinto la guerra. Quella per la sicurezza nei posti di lavoro, infatti, non e più una semplice emergenza. Ma una vera guerra da combattere con tutte le armi, non solo con l’elmetto. Una guerra che quotidianamente deve vedere impegnati tutti i protagonisti della società civile: nei luoghi che possono rilevarsi teatro di tragedie come sui banchi di scuola che formano i cittadini, gli imprenditori e i lavoratori di domani. Scoprire che in questo 2008, fino a ieri l’altro, le morti bianche in Umbria erano state 16, invece delle 38 del 2007, non consola nessuno. Tanto meno i familiari di quel ragazzo di Bastia morto schiacciato durante il suo turno di lavoro e degli altri 16 che lo hanno preceduto.
Di fronte a certe cifre si puo ritenere e anche apprezzare che qualcosa di buono sia stato fatto. Perché sicuramente e così: le ispezioni straordinarie e i controlli ordinari sono in aumento e si rivelano, senza dubbio, efficaci. Ma la guerra che si deve combattere si deve porre un obiettivo che non puo prevedere, in bilancio e alla voce delle sue vittime, altri numeri differenti dallo zero. Un’utopia, certo. Ma meglio un’ utopia che rende insoddisfatti, ma spinge quotidianamente a migliorare che un’utopia che ci fa accontentare di risultati parziali fatti di numeri e di paragoni che lasciano il tempo che trovano.
Lo hanno capito anche quei sindacalisti dell’Umbria che fino a qualche anno fa puntavano l’indice solo contro le istituzioni locali, ree – a loro dire – di non garantire una vigilanza adeguata. Oggi anche loro parlano di necessità di una “cultura della sicurezza del lavoro”. Sì, l’arma giusta potrebbe essere proprio questa: diffondere, anche in Umbria, e nel resto d’Italia, la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro. E i numeri, d’ora in poi, lasciamoli stare. Almeno fino a quando non si sarà davvero avvicinati a quota zero.


Sergio Casagrande
sergio.casagrande@edib.it

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