Spariti 34 milioni di metri cubi contro i 25 del lago
di Roberto Borgioni
PERUGIA — C’è un «effetto scolapasta» che sembra ormai incontenibile. Su ogni cento litri immessi, gli acquedotti umbri ne perdono 45,3 prima che raggiungano i rubinetti di case, aziende e servizi pubblici. Quarantacinque litri di acqua su cento svaniscono tra guarnizioni ossidate, buchi nelle tubature, misteriosi rivoli sotterranei che quasi dimezzano la risorsa idrica disponibile.
A dirlo è il «Piano regolatore degli acquedotti dell’Umbria», realizzato in collaborazione tra Regione, Ato e Agenzia per l’ambiente e adottato a fine luglio dalla Giunta. La fotografia degli sprechi è sconcertante, con quattro comprensori maglia nera: il peggior comune è Gubbio, con il 60,7% dell’acqua disponibile che si perde prima di giungere a destinazione. Seguono Orvieto (57,1%), Spoleto (52,3%) e Corciano (52,2%). I territori più virtuosi sono invece Montone (23,2% di dispersione), Torgiano (27,1%), Bastia (32,1%) e Deruta (32,7). Nessun comune umbro, comunque, centra l’obiettivo di abbattere le perdite della rete idrica sino al 20 per cento, limite che la legge ritiene sostanzialmente fisiologico.
Perugia è nel mezzo
I dati del comune capoluogo sono in linea con il negativo trend regionale. Gli acquedotti che servono Perugia lasciano per strada il 45,6 per cento del contenuto prima che l’acqua arrivi nelle case. Nella rete idrica di Perugia vengono immessi, ogni anno, 20 milioni 350mila metri cubi di acqua. Di questi solo 11 milioni 72mila raggiungono la popolazione. Degli altri nove milioni 278mila metri cubi si perdono le tracce.
Le cifre complessive dell’Umbria sono ancora più disastrose: 75 milioni 978mila metri cubi di acqua immessi, 41 milioni 542 consegnati all’utenza, 34 milioni 435mila metri cubi perduti lungo il percorso. Uno spreco intollerabile, nettamente superiore all’evaporazione annua stimata per il Trasimeno, che si aggira sui 25 milioni di metri cubi di acqua. Come dire: con le perdite delle tubature pubbliche dell’Umbria si potrebbe riempire il quarto lago d’Italia.
Ci vuole un «tappo»
Il comprensorio di Perugia riceve acqua potabile da vari punti di prelievo: le sorgenti del Cucco e della Scirca, i pozzi di Bagnara, Chiascio, Subasio, Petrignano, Cannara e Pasquarella. Il «Piano regionale degli acquedotti», al momento, non prevede la ricerca di ulteriori aree di captazione, perchè pone «come priorità assoluta il contenimento delle perdite della rete». L’obiettivo, che appare comunque molto difficile da raggiungere, è di ridurre al 20 per cento in dieci anni le dispersioni idriche delle condotte. Un risultato che, secondo la Regione, può essere ottenuto con l’installazione di contatori-spia, il rifacimento delle tubature più malandate e il monitoraggio continuo dei prelievi da sorgenti, pozzi e invasi.
Tempo da perdere non c’è. In una proiezione sino al 2040, infatti, il documento regionale prevede un incremento di 64mila utenze rispetto alla situazione attuale, con la necessità di disporre di ulteriori 7 milioni di metri cubi di acqua. Più che succhiare altre risorse dal sottosuolo, insomma, la strada maestra passa per la riduzione delle perdite. Sotto controllo finiscono anche le fontane pubbliche, con migliaia di litri che scorrono inutilmente. Ma almeno quelli arrivano in superficie, a differenza dei 34 milioni e mezzo di metri cubi che tornano invece nelle viscere delle città.
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