Bastia

La doppia morale del professore

GIANNI SCIPIONE ROSSI
Questa storia dei “mercenari” Prodi tenta di liquidarla come battuta, buttata lì tanto per dire. Una battuta magari cattiva ma che rende pan per focaccia alle tante cattive uscite di Berlusconi. Negate le scuse, minimizzato l’infortunio, il supposto leader del centrosinistra è subito passato ad altro. Gliene ha dato il destro D’Alema con una sortita sull’eventualità di una riforma del sistema elettorale che il professore ha subito dovuto arginare. Anche quest’incidente sembra chiuso. Ma di incidente in incidente pare che Prodi debba passare il tempo a tappare le falle della coalizione più disunita nella storia della politica. Auguri.
Sul mercenario, però, val la pena tornare. Perché la “battuta” è rivelatrice di una cultura, cioè di un modo di essere e di intendere il confronto politico. E anche della scarsissima capacità del professore di tenere a mente qual è, o quale dovrebbe essere, la sua base sociale di riferimento.
A spiegarglielo a chiare lettere, senza imbarazzati distinguo, è stato il vecchio Pietro Ingrao, che se lo può permettere: “il vecchio Pci pagava molti dei suoi giovani sostenitori, anche se la maggior parte di loro agiva da volontario. Io non sono rientrato nella schiera dei mercenari perché sono diventato deputato molto presto, nel ’48”. Si potrebbe aggiungere che gli attuali Ds hanno dovuto fare una radicale cura dimagrante in termini di apparato perché gravati di debiti garantiti dalle banche. Non sarà un caso se dalla storica sede di Botteghe Oscure, sono dovuti passare al “Botteghino” di via Nazionale.
Ma la questione è molto più vasta. Se mercenario è colui che riceve la “giusta mercede” che tanto cara dovrebbe essere al cattolico Prodi, è tecnicamente chiunque. Così come “pennivendoli” sono i giornalisti, che per contratto debbo seguire la linea politica ed editoriale indicata dall’editore. Montanelli, nel “Corriere della Sera” progressista di Giulia Maria Crespi, non ci volle stare e fondò “Il Giornale”. Poi dovette chiedere aiuto a un altro editore, Berlusconi. Poi non ci volle stare ancora e ne fondò un altro, liberalprogressista, “La Voce”, miseramente fallito come azienda e come linea politica.
Lo ricordiamo sol perché non si dica che i giornalisti sono pronti a rivedere le bucce agli altri, ma tendono a dimenticare le proprie.
Mercenari sono tutti, dunque. Anche i medici che pure svolgono un lavoro socialmente utile. Anche i netturbini che svolgono un lavoro parimenti più utile. Mercenari sono le “Simone” che tornano in Siria a dedicarsi ai bambini iracheni. Mercenario era il povero Fabrizio Quattrocchi, che faceva la guardia giurata in zona di guerra. Tecnicamente, non è mercenario solo chi dedica gratuitamente una porzione del proprio tempo libero all’assistenza: i volonta ri della Croce Rossa, gli scout e pochi altri… Onore al meri to.
Se parliamo di politica, le cose stanno esattamente come ha ricordato Ingrao. Con una necessaria postilla. Gli eredi dei grandi apparati “mercenari” sono largamente, forse al 90 per cento e più, arruolati stabilmente nel personale politico del centrosinistra, che è minoranza nel paese, ma largamente maggioranza nelle strutture che a vari livelli governano il paese. Da Fassino a Veltroni, da Bertinotti a Cofferati, da Cossutta a D’Alema a Rutelli, nessuno ha mai fatto qualcosa di diverso dall’attività politica o sindacale retribuita; al massimo il giornalista per il quotidiano del proprio partito. Scendendo per li rami, i quadri del centrosinistra sono costituiti dai funzionari delle cooperative, degli enti locali, dei sindacati, dagli eletti nei comuni, nelle province, nelle regioni, nelle comunità montane, tra i quali i non mercenari si contano sulle dita di una mano. Per questo, tra l’altro, è così difficile scalfire la base sociale del centrosinistra nelle regioni “rosse”. Nel Pci esistevano regole precise per garantire le carriere dei militanti. E’noto, ad esempio, che fatti salvi i leader, vigeva il tetto delle due legislature per deputati e senatori. Poi, acquisito il diritto alla pensione, tutti in periferia a rimboccarsi le maniche nelle federazioni.
Ma non è che la Dc se la cavasse male in termini di professionisti della politica. Non è che la Dc non avesse funzionari, impiegati, deputati a tempo indeterminato. E soprattutto aveva il pozzo senza fondo del parastato. Aveva il ricco governo dell’economia pubblica da gestire, creando manager, assegnando consulenze e, perché no, cattedre universitarie. Chissà se l’ex presidente dell’Iri se li è dimenticati i tempi belli in cui la sinistra Dc lo chiamava in causa. Un mercenario, nient’altro che un mercenario, dunque il professore. Che non risulta aver presieduto gratis la Commissione Europea.
Ma il problema non è qui. Il problema non è nella labile memoria del professore. Né nel professionismo politico, che è conseguenza necessaria dello Stato moderno, come persino Berlusconi sta capendo. Il problema da un lato è nell’arroganza culturale che Prodi esprime, fatta di divisione manichea in “buoni” e “cattivi”, esattamente il contrario di quel che serve ad una società che eredita dal passato fratture gravi, che invece bisognerebbe contribuire a sanare. Dall’altro è nella superficialità e nella spregiudicatezza dell’uomo. Per demonizzare il centrodestra finisce per demolire i suoi, peraltro anch’essi in larga misura convinti che un mercenario di sinistra sia di per sé migliore di un mercenario di destra. E l’antichissima doppia morale che affiora ciclicamente. Una perversione ideologica di cui evidentemente Prodi è vittima più dei vecchi ed onesti comunisti alla Ingrao.


GIANNI SCIPIONE ROSSI

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