Nel mirino di Procura e Guardia di finanza un imprenditore della zona di Marsciano e Bastia Umbra: indagato per reati finanziari, è considerato dagli investigatori contiguo al clan Belforte di Marcianise
PERUGIA False fatture per autoriciclare denaro grazie ad aziende intestate a presunti prestanome di un imprenditore edile campano, residente in Umbria. Non uno qualsiasi, secondo l’attività di indagine che la guardia di finanza di Perugia ha condotto sotto il coordinamento della Procura della Repubblica. Perché l’uomo, indagato per reati finanziari, è considerato dagli investigatori ritenuto contiguo al clan Belforte di Marcianise. È proprio ipotizzando il rimpiego di denaro proveniente dalla criminalità organizzata che l’indagine è partita, arrivando in questi giorni al sequestro di beni immobili e mobili per 200mila euro. Finanzieri del comando provinciale di Perugia, su delega della Procura, guidata da Raffaele Cantone.Il provvedimento di sequestro, nello specifico, ha interessato anche alcuni immobili nei dintorni del capoluogo e che sarebbero stati costruiti proprio reinvestendo i proventi illeciti di cui ai reati fiscali. Sono state sequestrate anche, quote societarie e conti correnti riconducibili a soggetti indagati insieme all’imprenditore. Esclusa l’iniziale ipotesi accusatoria, rende noto la Procura, «le investigazioni si sono poi concentrate sui profili di criticità fiscale e tributaria relativa ad alcune società riferibili al predetto imprenditore», imprese attive, nello specifico, nel settore alberghiero ed edile con sede in Bastia Umbra e Marsciano. Proprio a Marsciano, dove ha sede l’azienda edile, sono state sequestrate quattro villette in fase di costruzione. Sequestrati soldi depositati in banca, le quote di una società di proprietà degli indagati, del valore di circa 25.000 euro, per un totale complessivo, come detto, di 200mila euro. All’esito degli accertamenti sono state contestate all’imprenditore campano una serie di violazioni tributarie commesse tra il 2014 al 2017 riguardanti, in particolare, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La «provvista illecita» ottenuta con le false prestazioni attestate, secondo gli inquirenti, sarebbe stata trasferita alla ditta edile «intestata a prestanome ma in realtà riferibile al medesimo imprenditore, che li reimpiegava per la propria attività». Da qui il provvedimento cautelare, eseguito dai militari del Gico.
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