Ha fatto scelte, assunto posizioni e adottato provvedimenti che hanno costretto la sinistra ad inseguirla in maniera goffa


In meno di 30 giorni la coalizione sembra aver cambiato pelle


ALESSANDRO CAMPI


“Centro-destra: il ritorno”. Oppure: “La vendetta del centro-destra”. Se la vita politica italiana fosse un film e i nostri politici degli attori, sarebbero questi i titoli più adeguati per riassumere quanto accaduto nelle ultime settimane nel nostro Paese. Dal momento che la vita politica italiana ha spesso l’andamento di un film (commedia degli equivoci, dramma popolare, poliziesco, genere comico, a seconda dei gusti) e i nostri politici si comportano sovente da attori consumati, sono proprio questi i titoli che meglio descrivono le più recenti sequenze della nostra vita pubblica. Con un Berlusconi che, come al solito, si è mosso sulla scena rivestendo un molteplicità di ruoli: produttore, sceneggiatore, regista e, va da sé, prim’attore.
Cosa è accaduto? Dopo un paio di mesi nel corso dei quali la maggioranza di governo aveva inviato al Paese e ai propri elettori segnali di un crescente malessere, dovuto sia alle tensioni interne tra alleati sia a un’evidente perdita di capacità progettuale e decisionale, l’azione politica del centro-destra ha avuto, grazie alla spinta di un Presidente del Consiglio di nuovo in grande spolvero, un accelerazione che in breve ha determinato un significativo cambiamento di scenario.
Torniamo con la mente al dopo-estate. Il cappotto subito in occasione delle elezioni politiche suppletive svoltesi in alcuni importanti collegi, il clima di attesa per il ritorno di Prodi alla lotta politica italiana dopo la lunga parentesi europea, l’acuirsi della crisi economica interna e internazionale, una politica degli annunci divenuta sfiancante anche per il più ottimista tra gli elettori di centro-destra, incidenti di percorso particolarmente gravi come quello occorso a Buttiglione a seguito della sua designazione a commissario europeo: tutto sembrava congiurare a favore di un lento logoramento dell’intesa stretta tra i partiti che compongono la Casa delle Libertà, di un affievolirsi della loro credibilità politica. La perdita di consensi registrata tra settembre e ottobre da tutti i sondaggi, particolarmente grave soprattutto per Forza Italia e per Berlusconi, non era altro che l’inevitabile conseguenza del clima di delusione e sfiducia serpeggiante soprattutto tra coloro che nel 2001 avevano votato per il centro-destra credendo (come già nel 1994) nel suo progetto modernizzatore. Continuando lungo questa strada, la vittoria del centro-sinistra alle politiche del 2006 sarebbe stato il finale scontato della storia, sul quale già si era cominciato a scommettere nei piani alti di qualche palazzo romano e milanese. All’improvviso, qualcosa è cambiato. Il segnale di svolta è stato rappresentato, senza alcun dubbio,dalla vittoria che Bush ha riportato nelle corsa alle presidenziali all’inizio di novembre. E come se Berlusconi fosse uscito a sua volta vittorioso da quella competizione, traendone nuove motivazioni e un nuovo slancio: per sé e per la coalizione da lui guidata. Ciò che ne è seguito è sotto gli occhi di tutti. Il rimpasto nel governo, intorno al quale ci si era accapigliati per oltre un anno e mezzo, si è alla fine concluso nel modo se si vuole più prevedibile e scontato, ma anche politicamente più efficace e opportuno: con la nomina di Gianfranco Fini, leader di Alleanza nazionale, a ministro degli Esteri, e con quella recentissima di Follini e Baccini, gli uomini di punta dell’Udc, rispettivamente nel ruolo di vicepremier e di ministro per la Funzione pubblica. Nella compagine governativa tutti i vertici dei partiti che compongono la coalizione sono ora coinvolti in modo diretto e con ruoli di responsabilità. Il che significa, da qui alle elezioni politiche, che nessuno potrà addebitare ad altri colpe e inadempienze. Quanto alla grana europea, che aveva esposto l’Italia all’ennesima campagna di stampa tesa a delegittimarne il ruolo internazionale, si è a risolta più che degnamente con la designazione a membro della Commissione guidata dal portoghese Barroso di Franco Frattini. Ma è sul piano dell’azione di governo che sono maturate le due novità di maggior rilievo. Dopo mesi di chiacchiere e di promesse, il cosiddetto “taglio delle tasse”, il più irrinunciabile tra gli impegni assunti da Berlusconi al momento della firma del cosiddetto “Patto con gli italiani”, è finalmente arrivato, seppure con modalità che riflettono il delicato stato dei conti pubblici. Riuscirà una tale misura a rilanciare l’economia attraverso la crescita dei consumi interni o, quanto meno, a dare un po’ d’ossigeno alle finanze delle famiglie? Molti ne dubitano, in termini macroeconomici. Resta tuttavia un fatto: la riduzione della tasse non è solo una misura di politica economico-finanziaria, la cui utilità deve essere misurata soltanto sul piano empirico e dei risultati. È anche un provvedimento coerente con una visione politico-sociale, definibile in senso lato liberale, che considera “virtuosa” la riduzione dell’intervento dello Stato nella vita dei cittadini.
Al tempo stesso, è anche un provvedimento con una forte carica simbolica. Non è un caso che la sinistra, dopo mesi in cui aveva giudicato una simile riduzione difficile da operare o economicamente inutile, non abbia trovato di meglio che proporre a sua volta un proprio piano di riduzione delle imposte, alternativo a quello del governo.
L’altra novità è stata invece la riforma della magistratura sulla base di un impianto contestabile quanto si vuole ma pur sempre dotato di una sua intrinseca organicità. Ai magistrati, in maggioranza, la riforma non piace: dovrebbe suonare come una critica decisiva, in realtà si tratta di un avallo indiretto alla riforma voluta dal governo. Negli ultimi quindici anni la pressione della magistratura sul sistema politico-partitico aveva in effetti raggiunto livelli non più tollerabili in una democrazia competitiva. Se l’indipendenza della magistratura è per i cittadini un bene irrinunciabile, lo è altrettanto per questi ultimi l’autonomia della politica. Senza considerare la chiusura corporativa, quasi cascale, manifestata in questi anni dall’ordine giudiziario. Da questo ripresa d’iniziativa sono poi scaturiti cambiamenti interessanti anche per la vita interna dei singoli partiti della maggioranza. La Lega, ancora priva del suo leader ma pur sempre politicamente compatta, sembra aver rinunciato ai suo pressing, potenzialmente suicida per l’intera coalizione, teso a ottenere la guida di una o più regioni del nord in occasione delle prossime elezioni amministrative. Dopo la sua nomina a ministro, Fini ha avviato la riorganizzazione di Alleanza nazionale, da anni prigioniera di una perversa logica correntizia. L’Udc, dal canto suo, dovrà ora smetterla con la politica delle “mani libere”, per far valere le proprie ragioni politico-programmatiche sul piano dell’azione di governo invece che dalle pagine dei giornali. Per quanto riguarda infine Forza Italia si è finalmente aperta, per bocca dello stesso Berlusconi, una fase che dovrebbe portare al riassetto e al rilancio del partito grazie all’operato, nelle sua nuova veste di vice-presidente del partito, di Giulio Tremonti.
Dopo un immobilismo di anni, nel corso del quale a livello territoriale si sono consolidate oligarchie preoccupate unicamente di sopravvivere a se stesse, capaci di mobilitarsi solo in occasione delle scadenze elettorali, si dovrebbe assistere, stando a quanto si è letto nelle ultime ore, ad una non del tutto indolore rivoluzione interna: largo ai giovani politicamente motivati e dotati di capacità organizzative, ha sostenuto Berlusconi, e fuori dai posti di responsabilità tutti quei dirigenti che hanno dimostrato sino ad oggi di pensare unicamente al proprio futuro politico. Per inciso, se un simile cambiamento dovesse toccare anche l’Umbria cosa debbono ragionevolmente aspettarsi gli uomini e le donne che hanno guidato Forza Italia, nel corso degli anni, di sconfitta annunciata in sconfitta annunciata, senza mai uno scatto originale o una presa di posizione di quelle capaci di infiammare il proprio elettorale?
In meno di trenta giorni il centro-destra sembra insomma aver cambiato pelle. Qualcuno lo ha visto come una specie di ritorno alle origini. Ha fatto scelte, assunto posizioni e adottato provvedimenti che hanno costretto la sinistra ad inseguirla in maniera un po’ goffa e senza grande credibilità, a gridare allo sfascio e alla rovina senza rendersi conto che si tratta di una strategia che elettoralmente non paga (senza contare il danno che ne viene al Paese). Puntuali, i sondaggi registrano una ripresa dei consensi per il centro-destra, che ha di nuovo nelle proprie mani il boccino della politica.
Strada spianata, dunque, in vista delle prossime consultazioni elettorali, quelle amministrative del 2005 e quelle politiche del 2006? In realtà, i giochi sono più aperti che mai. Basta poco, come si è visto anche nel recente passato, a dilapidare il proprio patrimonio di credibilità politica.
Quel che è certo è che il centro-destra ha imboccato (finalmente!) una strada dalla quale non può recedere pena la propria definitiva evanescenza. I prossimi mesi dovranno essere all’insegna di un’azione di governo realmente volitiva, senza i tentennamenti del passato e senza le diatribe tra alleati cui abbiamo assistito per mesi. Le innovazioni e le politiche di modernizzazione, sulle quali il centro-destra ha investito politicamente e sul piano dell’immagine, possono avere un prezzo nell’immediato, in un Paese storicamente incline alla mediazione senza fine e all’immobilismo istituzionale. Ma oltre ad essere una necessità per la nazione, oltre ad essere un impegno assunto direttamente con gli elettori, esse sono anche, se realizzate per davvero, la base materiale sulla quale sarà possibile realizzare un consenso altrettanto vasto di quello ottenuto, semplicemente sulla fiducia, nel 2001. Andrà così?


ALESSANDRO CAMPI


 


 

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