L’inchiesta Per racimolare somme di denaro a favore dei creditori


Sono più di seicento i creditori del crac dell’azienda
Fallimento Nonostante i tentativi la Hemmond è stata dichiarata fallita cinque anni fa dal tribunale di Perugia


Elio C. Bertoldi


PERUGIA – Verrà messo in vendita il capannone della Hemmond per cercare di recuperare quanto possibile per fronteggiare le richieste della massa passiva (oltre seicento domande presentate al curatore fallimentare). Non essendoci più magazzino, non essendoci più macchinari, l’unico bene a disposizione per cercare di racimolare qualcosa sono le mura del laboratorio tessile, che si trova nella zona industriale di Bastia Umbra.
Il fallimento della Hemmond è ormai nelle mani della procura della repubblica (è seguito dai magistrati   Sergio Sottani e Manuela Comodi), che hanno indagato cinque soggetti (tre bastioli, un perugino ed un pescarese) e che sarebbero ormai pronti, chiuse le indagini preliminari, a chiedere il rinvio a giudizio dei cinque .
Due degli indagati – assistiti dagli avvocati David Brunelli e Donatella Tesei – sono accusati di bancarotta per occultamento e distrazione di beni (per oltre 24 milioni di euro, di cui oltre 14 milioni di euro quale valore della rimanenza e 10 milioni quale ammontare dei maggiori ricavi presunti) e per aver sottratto i libri e le altre scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Reati commessi a fine giugno 2002 (che è poi la data in cui il tribunale di Perugia, sezione fallimentare, ha dichiarato fallita la società Hemmond). I due si difendono, in particolare con una memoria, nella quale ricostruiscono gli eventi pre-fallimento, spiegano l’intera vicenda e forniscono una versione dei fatti, protesa a scagionarli.
Il terzo imputato – assistito dall’avvocato Gioia Cecchini – è indagato per aver presentato domanda di ammissione al passivo per un credito di più di un milione di euro “fraudolentemente simulato”, secondo la procura, perché relativo a prestazioni professionali in parte già pagate dalla società prima della dichiarazione di fallimento e in parte non eseguite nell’interesse della società, ma di singoli soci (fatti consumati nel settembre del 2002).
Contro il quarto imputato – difeso dall’avvocato Fernando Mucci – sono ipotizzati i reati di truffa (per aver indotto in errore il curatore con artifizi e raggiri) e appropriazione indebita (per essersi impossessato di 6 automezzi, attrezzature di ufficio e capi di abbigliamento finiti, che erano stipati nei magazzini), cagionando al fallimento un danno di rilevante entità. L’ultimo indagato, infine (che si è affidato all’avvocato Gioia Cecchini), è indagato per aver sottratto o distratto, vendendoli a terzi, beni della società fallita.
Questo secondo gruppo di indagati – che rispondono di reati che sarebbero stati consumati nel post fallimento (mentre i primi due avrebbero commesso reati nella fase del pre-fallimento – avrebbe presentato memorie e avrebbe fatto svolgere anche indagini investigative autonome (come previsto dalla legge) per dimostrare la propria innocenza e la propria estraneità ai fatti contestati.
Il caso è sicuramente complicato e complesso anche perché entrano in gioco una serie di rapporti anche con banche estere oltre alla vicenda dell’affitto dell’azienda.

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