BASTIA UMBRA – Filati di gran pregio, richiesti dai più affermati stilisti. Un fatturato da capogiro. Eppure la Hemmond ha chiuso i battenti, con enormi debiti e oltre 24 milioni di euro spariti nel nulla.
Di questo, secondo il pubblico ministero Manuela Comodi, devono rispondere cinque persone: i due amministratori Mario Colonnesi e Arnaldo Incontri indagati per bancarotta per essersi appropriati di beni della Hemmond facendola fallire, il commercialista Marco Versiglioni accusato di avere simulato dei crediti che invece erano stati già pagati, l’ex dipendente Mario Momi indagato per avere fatto sparire del materiale dopo il fallimento e l’imprenditore Roberto Ferrante che aveva preso in affitto (mai pagato) l’azienda dopo la dichiarazione di crac, accusato di truffa e appropriazione indebita.
Questa mattina compariranno tutti davanti al giudice per l’udienza preliminare Marina de Robertis, difesi dagli avvocati David Brunelli, Donatella Tesei, Fernando Mucci, Augusto La Morgia, Marco Angelini, Delfo Berretti e Gianluca Gaudenzi. A quasi trent’anni dalla sua fondazione, con marchi importanti, da Daks a Pal Zileri, da Mila Schoen a Valentino, con un trend di crescita che vedeva la società a quota 160 miliardi di lire di fatturato nel 2000 e 150 dipendenti. Uno dei primi clienti a lasciare il tavolo fu proprio quello del sarto più imitato della moda italiana, Valentino Garavani. Altri lo seguirono. Ora a posteriori si racconta della fretta con cui i libri contabili vennero portati i Tribunale sapendo che si poteva evitare l’umiliazione del fallimento.
Il partner indicato dall’Associazione perugina degli industriali per salvare la Hemmond, non comprò mai: quando andò a vedere quanti soldi servivano per prendere l’azienda, la somma cambiava verso l’alto.
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