Bastia

Fallimento Hemmond, caccia ai fondi

BASTIA – Ricostruire il giro che hanno fatto quasi 24 milioni di euro dalle casse della Hemmond al nulla è un compito difficile. Per questo i legali dei cinque imputati per il fallimento “pilotato” (secondo l’accusa sostenuta dal pm Manuela Comodi) della ditta tessile di Bastia Umbra, hanno chiesto una perizia sui libri contabili. In altre parole occorre ricostruire come e perché una ditta con un fatturato da capogiro, con filati di gran pregio, richiesti dai più affermati stilisti, si sia ritrovata con debiti enormi e 24 milioni in meno nei conti. Di questo, secondo il pubblico ministero Manuela Comodi, devono rispondere cinque persone: i due amministratori Mario Colonnesi e Arnaldo Incontri indagati per bancarotta per essersi appropriati di beni della Hemmond facendola fallire, il commercialista Marco Versiglioni accusato di avere simulato dei crediti che invece erano stati già pagati, l’ex dipendente Mario Momi indagato per avere fatto sparire del materiale dopo il fallimento e l’imprenditore Roberto Ferrante che aveva preso in affitto (mai pagato) l’azienda dopo la dichiarazione di crac, accusato di truffa e appropriazione indebita. I cinque sono difesi dagli avvocati David Brunelli, Donatella Tesei, Fernando Mucci, Augusto La Morgia, Marco Angelini, Delfo Berretti e Gianluca Gaudenzi.
L’avvocato Berretti, in particolare, ha chiesto per il suo assistito, un dipendente che aveva svolto funzioni di venditore di merce di magazzino nell’ambito del fallimento, il giudizio abbreviato condizionato alla deposizione di un’altra persona che ebbe a che fare con la Hemmond nella crisi. L’azienda era arrivata ad un giro d’affari di 160 miliardi di vecchie e 150 dipendenti. Poi era tutto sfumato, all’improvviso e senza spiegazioni plausibili. O almeno così sostiene e cerca di provare l’accusa.


U.M.

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