Bastia

E NON SE NE VERGOGNANO

di VITTORIO FELTRI


Sale la tensione tra i Poli, dopo la decisione del governo di trasferire il generale Roberto Speciale alla Corte dei Conti. Prodi rivendica la «correttezza dell’esecutivo». Berlusconi, applauditissimo alla parata del 2 Giugno, si rivolge al presidente della Repubblica: «Saliremo al Quirinale». Ma Napolitano glissa: «Non coinvolgetemi» Poveracci, non sanno più cosa inventare per rimanere inchiodati alla cadrega. L’ultimo episodio è degno del peggior Ceausescu, ammesso che ve ne fosse uno migliore. Siccome Visco aveva combinato un pasticciaccio brutto, “consigliando” indebitamente al generale Speciale di trasferire alcuni ufficiali impegnati a indagare su Unipol (il sancta sanctorum dei comunisti), se ne sarebbe dovuto andare a casa, una volta scoperto. Andare a casa? Figuriamoci se un tipino così recita il mea culpa e si ritira. Infatti. Lui e il governo hanno fatto in modo, con una manovra da pomeriggio dei lunghi coltelli, che fosse il signor comandante ad accomodarsi fuori dalle palle. Tutto questo schifo per evitare che il Senato discutesse dell’incidente e magari votasse contro il viceministro alle Finanze. Prodi e compagnia hanno salvato la poltrona ma non la faccia che, d’altronde, non era granché neanche prima. La storia è nota fin nei dettagli e l’abbiamo riassunta solo per chi avesse perduto le puntate precedenti. Ora, quel che conta, è altro: cosa intende fare la opposizione onde sputtanare adeguatamente i bananieri del golpetto? La mia previsione è: niente. E questo niente deprime ancor di più della porcata studiata e realizzata dai mortadellari. È desolante vivere in un Paese in cui un membro del governo tratta come un cameriere il capo delle Fiamme Gialle (con l’assenso del premier), ma è ancor più desolante vivere in un Paese che glielo lascia fare. Tonino Di Pietro sembrava dovesse spaccare il mondo, invece, al momento di agire è fuggito a Bergamo con la coda fra le gambe, confondendosi tra i finti tonti che, nonostante la vicenda Speciale (uno sputo in faccia ai militari), hanno festeggiato ieri, 2 giugno, il trionfo della Repubblica (delle banane) con un bagno di retorica nauseabonda. Silvio Berlusconi e la sua truppa affamata di trippa, dopo aver annunciato con la bava alla bocca una manifestazione di piazza allo scopo di sollecitare il trasloco di Prodi (visti i risultati elettorali), si sono limitati a una difesa d’ufficio del generalone declassato a revisore dei conti perché accusato di insubordinazione nei confronti di Visco. Una difesa blanda, poco convinta. Che speranza ha il cittadino nella rinascita non dico della Patria ma almeno della dignità nazionale? Zero. I sindacati, abituati a scioperare in appoggio a qualsiasi sciagurato, addirittura i lavoratori (si fa per dire) dell’Alitalia, non hanno mosso un dito in solidarietà a Speciale, nella circostanza abbandonato da tutti eccetto dai colleghi, cui però il regolamento vieta di parlare. Non ci resta che sacramentare e confidare in una calamità naturale. Le forze della ex Cdl non sono in grado di abbattere il Palazzo. Mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di un centrodestra compatto e battagliero; viceversa Casini ha il suo bel daffare per distruggere il bipola- rismo; Fini ha problemi nel partito e con i partiti fratelli; Berlusconi è consapevole di non poter riprendere i fili della baracca; la Lega, euforica per la brillante performance nelle amministrative, non ha voglia di pensare a rimettere in sesto la coalizione. Ciascuno, insomma, ha motivo di ripiegarsi su se stesso. Intanto il governo, pur ammaccato e zoppicante, prosegue nel suo mesto cammino calpestando la Guardia di Finanza e questo straccio di democrazia. Fa impressione leggere gli articoli de “la Repubblica”. Quello di Carlo Bonini è un profilo di Roberto Speciale da far rizzare i capelli. L’alto ufficiale ne esce come un fessacchiotto che all’Accademia militare di Modena è passato dal buco della chiave e con le ossa rotte; un mediocre senz’arte né parte; un burattino che ha fatto carriera a furia di signorsì e di tacchi battuti; un attendente di Pollari ignorato dai potenti, incluso Berlusconi; una nullità. Il fatto che il già allievo dell’Accademia, miracolato dai superiori non si sa perché, abbia tre lauree viene liquidato in due righe nella didascalia. Nel pezzo, non un cenno. Non che tre lauree siano garanzia di una fulgida intelligenza; però fanno dubitare che chi le ha conseguite fosse una sorta di Calimero fra i cadetti di Modena. Vabbé. Poniamo che Speciale sia inadeguato, troppo piccolo per reggere il comando della Gdf. Se ne accorgono solo adesso? Se un governo necessita di quindici mesi per capire che un comandante è pirla, forse anch’esso ha qualche pirlacchione al proprio interno. Un governo così sicuro del fatto suo che, mentre con una mano licenziava Speciale trascurando di dire perché, con l’altra ritirava le deleghe al viceministro delle Finanze affidandole a Padoa-Spocchia. Il che, consentirà Bonini, non è un contributo di chiarezza. Probabilmente la maggioranza è interessata a confondere le acque; i fatti ingarbugliati non appassionano la gente, la quale, se non afferra i termini della questione, volta pagina e chi si è visto si è visto. Ma qui siamo di fronte a un caso paradigmatico di soperchieria: il ministro ordina illegittimamente al generale di far secchi alcuni ufficiali. Il generale dimostra l’illecito con carte e testimonianze. Il resto è chiacchiera. Il Giornale, tramite il suo cronista Nuzzi, è venuto in possesso dei documenti e li ha pubblicati. Ha fatto il proprio dovere. Se Visco era convinto di aver ragione perché ha atteso scoppiasse lo scandalo giornalistico? Perché lui e il suo governicchio non hanno proceduto tempestivamente contro il generale? Comunque la si giri questa faccenda dà torto all’esecutivo, il cui imbarazzo traspare e spicca con prepotenza se si considera che il provvedimento è stato assunto contro il comandante alla vigilia – e sottolineo alla vigilia – di un dibattito in Senato dall’esito incerto; talmente incerto da far tremare i polsi a Romano Prodi. E questa ha tutta l’aria di una involontaria ma palese ammissione di colpa.

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