Bastia

È FINITA LA TRIPPA

 di VITTORIO FELTRI


Bisogna compulsare i sondaggi per localizzare l’epicentro del terremoto nella maggioranza. Tutti i partiti dell’Unione sono in picchiata. Ma Rifondazione, i Verdi e i Comunisti italiani sono addirittura sul punto di schiantarsi, perché hanno deluso troppo i loro elettori. Le buste paga di gennaio sono allegre come cimiteri; i ticket e le tasse locali (l’Ici e le addizionali) colpiranno alla cieca anche i ceti mediobassi; si parla con insistenza di elevare l’età pensionabile, e toccare le pensioni ai comunisti e affini è come tagliare le antenne a Berlusconi: insorgono. Se poi il governo pensa di dare l’ok all’allargamento della base americana di Vicenza, è inevitabile, minacciano la “rivoluzione” e si esercitano a farla. Ovvio. Si avvicinano le votazioni amministrative, e se gli estremisti ci arrivano dopo aver scontentato i compagni, addio: rischiano di dimagrire e quindi di scomparire. Su qualcosa devono resistere resistere resistere, dimostrare ai fedelissimi che almeno non si sono appiattiti su Rutelli e che, da bravi pacifisti armati, sono pronti alla guerra per non cedere agli odiati americani un centimetro quadrato di terreno. Tutto qui, tutto prevedibile, anzi scontato fin dal giorno in cui Prodi si è accasciato sulla poltrona di premier. Non è una novità che al Senato l’Unione ha una maggioranza risicata; normale che al primo accenno di raffreddore cadesse come corpo morto cade. Cosa si aspettava Prodi? Che i comunisti, solo perché li ha coccolati per tenerseli buoni, accettassero di non essere più comunisti allo scopo di puntellargli lo scranno? Errore. Già lo scaricarono nel 1998. Se non è oggi, sarà domani, lo scaricheranno ancora. Antipatia? No, convenienza. In politica nessuno guarda in faccia a nessuno. Si agisce per calcolo. Mi rendo conto: Romano è obbligato a rispettare i patti con gli Stati Uniti, vietato rompere con chi ti ha difeso e ti difende in cambio di qualche caserma, consentendoti di risparmiare le spese di mantenimento d’un esercito vero. D’altro canto però, mi rendo pure conto che i signori delle bandiere rosse hanno difficoltà a schierarsi con le margherite, i berlusconiani eccetera. Significherebbe per loro rinunciare all’identità politica e disperdere il seguito popolare, giovanile, rissaiolo, no global. Dov’è dunque il problema? Sta nel matrimonio innaturale fra il centro e la sinistra massimalista. Un matrimonio che non è un matrimonio e nemmeno un Pacs, bensì una oscena ammucchiata mossa da interessi diversi e talvolta contrastanti, come nel caso della base vicentina. È la vecchia storia dei cani e dei gatti: per convivere convivono, finché c’è trippa per tutti; se però la pappa scarseggia, si azzuffano e son dolori, per qualcuno. Prodi è un ingenuo se si illude di governare in un caravanserraglio qual è l’Unione. Adesso siamo al redde rationem? Forse non ancora. Quello cui assistiamo tuttavia è un anticipo – in scala ridotta – del quadro politico futuro. Si dirà. Se il presidente del Consiglio, al quale comunque Napolitano ha dato un pizzicotto richiamandolo alla realtà, si dimette, poi è costretto a tornare perché nel centrosinistra non ha alternative. È un’ipotesi. Ma un Prodi bis con la stessa maggioranza intorcinata durerebbe lo spazio d’una nuova bega. Non mancheranno i tentativi del capo dello Stato di non sciogliere le Camere: governo tecnico, istituzionale, provvisorio; maggioranza allargata e vari marchingegni tipicamente italiani. Un dato è certo. Prodi sulla politica estera non dispone dei numeri per andare avanti; pertanto andrà indietro, quindi andrà a casa. E sarebbe una soddisfazione. Berlusconi non muova un dito; i compagni hanno il talento per rovinarsi da soli.

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