“Fatta l’Italia dobbiamo fare gli affari nostri”. Con questa frase, secca come una scudisciata , Federico De Roberto faceva certamente dell’ironia, ma mostrava anche di conoscere intimamente la natura poco civica degli italiani. Perché non si comprende bene come mai i ridimensionamenti di alcune spese folli effettuate dall’istituzione-scuola siano stigmatizzati da (quasi) tutti gli studenti e i professori politicizzati, che vedono in questi “tagli” un attentato al diritto di studio, mentre i “tagli” a Montecitorio e a Palazzo Madama, tanto candidamente invocati dall’intera opinione pubblica, non scalfirebbero la democrazia. C’è una contraddizione. Ridurre il costo della politica è necessario, ma ciò non comporta un peggioramento del modo di governare; arginare l’emorragia di denaro pubblico diretto verso la scuola è fondamentale e non ridurrà la qualità dell’ istruzione. Occorre cioè ridurre gli sprechi. E’ forse necessaria la compresenza in classe di due maestre in una stessa ora? E’ forse giusto che il personale ATA (bidelli e tecnici informatici) sia pagato con il nostro denaro solo per fare fotocopie e consegnare circolari? E’giusto che lo Stato debba finanziare all’Università ricerche di dubbia utilità come quella sull’”asino del Monte Amiata” o sul “dialetto dei muratori del Molise”? E’ onesto continuare a caricare sulle nostre spalle i debiti di atenei amministrati malamente, come messo in luce da una recente inchiesta di Panorama?
No. E non abbiamo intenzione di cedere alle blande argomentazioni di coloro che sostengono che siamo il paese che meno spende per l’istruzione, perché se è vero che secondo l’Ocse per gli investimenti per studente siamo al penultimo posto in Europa,è altrettanto vero che in spesa per laureato siamo al terzo posto: pochi sono gli studenti che giungono fino alla fine del percorso universitario,loro sanno che è necessario un correttivo; le lamentele contro il tentativo di trovare un rimedio vengono da studenti politicizzati e cialtroni perdigiorno.
Si badi bene che la riduzione degli sprechi non rappresenta certo la pozione magica per questa scuola malata, ma è un segnale forte e deciso del desiderio di cambiamento che anima l’opinione pubblica e i giovani che credono ancora nel sacrificio e nel duro lavoro.
Michael Mocci
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