Laura Verlicchi
da Milano
Da un quinto a un quarto dell’utile: a tanto equivale il risparmio fiscale per una cooperativa rispetto a una società di capitale delle stesse dimensioni. Merito delle leggi speciali che accompagnano la storia delle coop fin dal primo dopoguerra. Lo dimostra uno studio realizzato dalla Cgia di Mestre per il Giornale, che ha preso ad esempio tre realtà di identiche dimensioni – una decina di dipendenti e circa 500mila euro di fatturato – ma diverse giuridicamente: sono cioè una società di capitale e due cooperative. I numeri di partenza, come si vede nella tabella, sono identici per tutte e tre: 250mila euro di base imponibile Irap e 50mila euro di utile ante imposte. Quando però si passa alle tasse, le cose cambiano. Per le coop, infatti, solo il 30% degli utili entra nell’imponibile Ires (la nuova tassazione societaria, che ha sostituito l’Irpeg) e viene quindi tassato: ed ecco un risparmio di 9mila euro (colonna 2 della tabella). Che aumenta a 12.600 euro, se la coop rientra fra quelle cosiddette «di produzione e lavoro» e può quindi dedurre dall’imponibile la parte corrispondente all’Irap (colonna 3 della tabella).
Come si spiega questa disparità ? Tutto nasce da una legge del 1977, che stabilisce che gli utili delle coop non sono tassabili a condizione che non vengano distribuiti ai soci, ma restino nel patrimonio della cooperativa stessa. Un riconoscimento alle caratteristiche dell’impresa cooperativa, che non può, come una società qualsiasi, chiedere finanziamenti al mercato.
E il vantaggio è rimasto, sia pure ridimensionato, anche dopo che la riforma del diritto societario ha ridisegnato il mondo delle coop, distinguendo fra quelle a mutualità prevalente (come quelle considerate nel nostro studio) e non: le prime sono le coop «tradizionali», in quanto prevalentemente svolgono la loro attività in favore dei soci, si avvalgono delle loro prestazioni lavorative e dei loro apporti di beni o servizi. Per loro, solo il 30% degli utili, dunque, entra nell’imponibile. Un ulteriore vantaggio, come abbiamo visto, è riservato alle cosiddette coop di produzione e lavoro, quelle cioè in cui le retribuzioni dei soci risultano superiori al 60% di tutti gli altri costi (esclusi materie prime e sussidiarie).
Ma non sono queste le sole agevolazioni esistenti. La quota imponibile, infatti, si riduce al 20% per le cooperative agricole e di piccola pesca e al 27% per le banche di credito cooperativo. Capitolo a parte per le coop sociali, che offrono servizi socio-sanitari ed educativi, oppure si dedicano all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate: in questo caso gli utili sono completamente esenti dalle tasse. Ma anche le coop a mutualità non prevalente, che la riforma voleva originariamente escludere, sono state «recuperate» in extremis: per loro, rimane comunque esentasse il 30% dell’utile
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