Livia Turco (ds) vuole la testa del direttore del Giornale, Diliberto la nostra. Ma si diano una calmata
di Vittorio Feltri
Cara ministro Livia Turco, mi permetto il “tu” solo perché anni fa mi invitasti a usare questo pronome, immagino per una sorta di simpatia fra noi, simpatia che per quanto mi riguarda confermo. Ho seguito la controversia fra te e il Giornale sull’eutanasia. Il quotidiano della famiglia Berlusconi ti ha attribuito una proposta di legge sulla materia; tu hai smentito facendo notare al direttore Belpietro: tale proposta esiste, però non è firmata da me bensì da altra persona col mio stesso cognome: Turco, appunto. Quindi i ragazzi di via Negri hanno preso una cantonata. Pidiessina sì, ma cattolica come sei mai avresti avuto simile idea. Te ne do atto. Inoltre hai sottolineato opportunamente: il vostro errore è marchiano non solo per via dell’omonimia; c’è anche il problema che i ministri non inoltrano proposte, semmai, d’accordo coi colleghi di governo, approvano decreti da trasformare in leggi. Infatti il potere esecutivo e il potere legislativo hanno limiti precisi e delineati. Tuttavia certe distinzioni non si possono pretendere dal Giornale, impegnato com’è in polemiche un po’ assurde perfino con noi. Ti rivolgo una preghiera: lascia correre. Hai precisato. Le tue ragioni sono emerse nettamente. I torti del Giornale, pure. Belpietro si è scusato. Cosa vuoi di più, la testa del direttore? Cosa te ne fai? Dici: se lui se ne va, risparmio querele a lui e al suo editore. Mi prendo la soddisfazione delle dimissioni e ciao. No cara ministro. Non è da te. La disoccupazione di Belpietro quale trofeo non ti farebbe onore. Tra l’altro, sono convinto non abbia sbagliato lui. La notizia gli sarà stata confezionata dalle gerarchie della redazione e lui l’avrà considerata buona. Càpita. È brutto ma càpita. Abbi un gesto signorile: assolvi. Chi fa il nostro mestiere, come chi fa il tuo, è soggetto a sbagliare. È noto. La fretta. L’esigenza di chiudere le pagine. La voglia di vendere copie o quella di cessare di perderne. Sono tanti i fattori che inducono a scambiare lucciole con lanterne. Un’ex comunista quale tu sei, se si accanisce contro un lavoratore, per quanto direttore, credo vìoli i suoi princìpi. In fondo, non è successo nulla di irreparabile: la verità è venuta a galla subito. Non sei stata danneggiata, anzi, hai avuto la facoltà di far sapere urbi et orbi la tua posizione sull’eutanasia. Meglio di così… Strafare, uccidere l’avversario, perfettamente in grado di suicidarsi, porta sfiga. Qualcosa mi dice che darai retta a me. Vincere è bello, umiliare lo sconfitto, e purtroppo i direttori rispondono anche delle sciocchezze commesse dai loro collaboratori, riduce la vittoria al rango di vendetta. Tu peraltro hai una stoffa più pregiata rispetto a quella del compagno Diliberto e saprai agire con tatto, una volta sbollita la rabbia. Ieri Libero ha pubblicato il documento integrale della relazione del segretario al Comitato centrale del Partito dei comunisti italiani. Un delirio. Si esaltano gli effetti positivi prodotti dallo slogan: dieci, cento mille Nassiriya. Si punta a ridurre Rutelli a chierichetto e a sbalestrare Fassino, a uccidere nella culla il Partito democratico in gestazione. Roba forte. Perché il Pdci non è solo un’ala massimalista della sinistra, ma una componente della maggioranza di governo. Un Pdci che tuttavia fa la guerra alla coalizione con cui condivide la responsabilità di dirigere il Paese. È evidente. Siamo di fronte a un fenomeno di enormi potenzialità telluriche; non a chiacchiere da bar, ma a un documento: la relazione del segretario politico al Comitato centrale. Dovevamo pigliarlo sotto gamba? No. Lo abbiamo pubblicato integralmente proprio perché non si dicesse “è una manipolazione, una interpretazione”. Il documento originale è lì da leggere. Lo leggono tutti quelli che lo vogliono leggere, e ciascuno trae le conseguenze che crede. Non appena in edicola Libero, apriti cielo. Diliberto con grande sprezzo del ridicolo si è lanciato in una serie d’accuse: Libero è pieno zeppo di spioni, imparentato coi servizi segreti, e ha mobilitato uno dei suoi 007 per ficcare mani sporche nelle nostre carte. Anatema. Anatema. State certi, quereliamo il quotidiano. Ma va in mona, gattosardo della malora. Ignori che il tuo documento alcolico è lì sul tuo sito internet: link rinascita n. 39. Scusa caro ministro, tu non c’entri nulla con questa esilarante storia, però Diliberto è un tuo socio. Digli di darsi una calmata. Se non sa che il discorso è a disposizione dell’universo mondo e pensa che per averlo servano delle spie, be’, qui urge l’intervento degli infermieri. Non si azzardi a querelarci perché immediatamente partirebbe una controquerela. Sul capo di Diliberto pesaun’aggravante. Il documento in questione reso pubblico attraverso internet rivela la prova della malafede di chi lo ha passato: è stato depurato delle parti più compromettenti, più scottanti. In una parola: censurato. Costatato ciò, ci siamo procurati il testo originale ovvero la registra izione e la trascrizione delle parole pronunciate dal segretario comunista. Sarà un piacere leggerle in tribunale. Ma quale operazione di spionaggio? Trattasi di semplice servizio giornalistico su un atto ufficiale di partito come la relazione del segretario al Comitato centrale. Dov’è la segretezza? Il Pdci è un partito o una loggia, una setta carbonara, catacombale? Quelli che lo hanno votato hanno il diritto di venire a conoscenza di ciò che bolle ai vertici. E noi glielo abbiamo raccontato. Questo sarebbe spionaggio? È opportuno ricordare a Diliberto che i capi del Sismi eccetera sono stati cambiati proprio dal governo di centrosinistra nei giorni scorsi. Fosse vero che siamo ammanigliati con i nuovi, vorrebbe dire che il governo appoggiato dai comunisti non ha fatto una buona scelta. Un motivo in più perché il Pdci ritiri la sua delegazione, compagno Diliberto. Confido che tu, ministro Turco, convinca il tuo sodale a non fare il Pierino. Quanto a Belpietro, ho già detto e ripeto: accontentati di quanto hai già incassato. Troppo storpia.
Le pagine del giornale “La Rinascita” con la relazione di Diliberto le trovi qui
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