“In maniera univoca, il Consiglio Comunale aperto ha consentito di dissipare ogni forma di dubbio sul ruolo e sulle responsabilità del Comune nel promuovere l’apertura del centro di accoglienza. Il Comune risponde dal punto di vista del controllo delle autorizzazioni edilizie di una proprietà privata”. Sono queste le parole della sindaca Paola Lungarotti che sintetizzano tutta l’assenza di pianificazione e visione politica dell’attuale giunta.

Un po’ scaricabarile, un po’ ammissione di incapacità, per il resto ricerca di consenso costante, imbarazzante, preoccupante. Ed è proprio “responsabilità” la parola d’ordine che innesca questa riflessione.

Che un comune come Bastia non sia in grado di gestire la pratica del Centro Accoglienza Richiedenti Asilo in loc. Bastiola, nell’immobile dell’ex Villa, è ridicolo. Al limite del grottesco. E non parliamo della mera gestione amministrativa – quella del “controllo delle autorizzazioni in una proprietà privata” usata come scarico di responsabilità – ma della gestione politica, della lettura delle circostanze, del pensiero ampio e lungo, della progettualità e dello spirito valoriale profondo che dovrebbe muovere certe scelte.

Perché Bastia dovrebbe essere in grado di scegliere, senza dettami esterni, di essere parte del sistema di accoglienza di persone vittime di violenze di cui non sono responsabili, di soprusi e abusi, di una condizione che le ha spinte a fuggire dal proprio Paese in mezzo a sofferenze disumane, a volte non raccontabili per il livello di tragicità. D’altronde, molti dei nostri cittadini sono stati a loro volta immigrati in un periodo più buio della nostra storia, per poi tornare e aiutare con la loro esperienza la nostra crescita.

Dovremmo essere in grado di compiere certe scelte non perché frutto di “impegni improcrastinabili” delle Prefetture italiane, ma perché mosse da una volontà di essere vicino al prossimo, di amministrare il bene comune anche pensando ai più bisognosi, di usare il termine “accoglienza” nel vero senso della parola. E non per opportunità. Di far sentire quelle 30 persone – profughi tra bambini e donne, alcune in stato di gravidanza – parte della nostra comunità. Ovviamente, dovremmo farlo in modo da garantire le massime condizioni di sicurezza: ma questa è una sfida che non può spaventare Bastia.

È comprensibile che, sostenuta da partiti che propongono il blocco navale e misure aggressive contro esseri umani bisognosi, Lungarotti non possa spendersi per determinate posizioni. Anzi, cavalchi le strumentalizzazioni che si basano sulle – legittime, finanché comprensibili – paure delle persone, si aggrappi allo scarico di responsabilità per cercare di mantenere il consenso o un’unità che di fatto non c’è né nella giunta né nel motore politico che dovrebbe sostenerla.

Il problema sta nella mancanza di idee, a cui si aggiunge l’incapacità di comunicazione ormai accertata, male da sempre di questa amministrazione, mentre è la connessione tra comunicazione e partecipazione che caratterizza una buona amministrazione.

È questa assenza che ha prodotto la rabbia traboccante tra i cittadini presenti all’auditorium, dove è stato ospitato un “consiglio comunale aperto” che, contrariamente al senso del nome e del luogo, ha invece visto l’amministrazione chiudersi. Senza ascolto e senza comunicazione, senza immergersi tra i cittadini, raccontando il disfacimento di un sistema di potere che ha sempre mirato solo al mantenimento dello stesso e per niente attento al bene della città.

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