Bastia

Cinesi impiegati ai «lavori forzati» Il caso si allarga

Accurati accertamenti 
 
di Giovanni Camirri


FOLIGNO — Tratta dei cinesi, l’inchiesta sembra essere avviata verso una svolta. Dopo gli arresti di un imprenditore 57enne di Bastia e di un cinese che aveva funzioni di «caporale», l’operazione messa a segno da Guardia di finanza e polizia segna in queste ore altri importanti sviluppi. L’attività d’indagine che ha portato alla scoperta di un laboratorio manifatturiero illegale dove erano impiegati 11 cinesi (sette dei quali clandestini), che aveva come copertura un’attività «ufficiale» di confenzionamento di capi d’abbigliamento per grandi case di moda, a questo punto si muove sul versante degli accertamenti tributari. Polizia e finanza hanno sequestrato tutta la documentazione commerciale, che verrà setacciata per verificare i diversi passaggi tra i soggetti produttori e quelli che hanno commercializzato i marchi contraffatti. Gli inquirenti indagano per definire una sorta di mappatura della rete che ha portato i cinesi a Foligno. Si vogliono approfondire i canali attraverso i quali gli orientali sono riusciti ad arrivare in città e per questo è scattata la caccia ai dormitori dove i cinesi potrebbero aver stazionato anche per pochissimi giorni prima di essere inviati alle destinazioni finali. Gli inquirenti intanto hanno individuato i soggetti che ruotavano intorno agli arrestati per la commercializzazione dei capi contraffatti e le ipotesi di reato legate all’impiego di immigrati clandestini. Sulle loro posizioni sono in corso accertamenti per chiarire ruoli e accertare eventuali responsabilità. Nei confronti della società che impiegava la manodopera in nero e clandestina era stato già spiccato dal tribunale fallimentare un provvedimento cautelare teso al sequestro dell’immobile. L’ufficiale giudiziario, però, non ha potuto dar seguito alla procedura in quanto c’era già in atto il sequestro penale segnato dai sigilli apposti da Guardia di finanza e Polizia. Il pm che coordina l’indagine, il dottor Tullio Cicoria, della Procura della Repubblica di Perugia, sta vagliando anche l’ipotesi di reato di riduzione in schiavitù rispetto alle condizioni in cui i cinesi erano tenuti sia sul «posto di lavoro» che nell’angusto seminterrato dove mangiavano e dormivano. Dati i pesanti carichi di lavoro cui erano costretti, nessuno di loro usciva all’esterno, al di fuori dell’unico fumatore che aveva solo la possibilità di andare ad acquistare le sigarette. 


 

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