Esultano gli ex amministratori e l’ex dipendente Momi
La vicenda durata otto anni porta a un solo rinvio a giudizio

PERUGIA – Tre assoluzioni, una sentenza di non luogo a procedere e un rinvio a giudizio per l’annoso caso del fallimento Hemmond, la spa di Bastia Umbra.
Gli assolti, che avevano chiesto il rito abbreviato, sono i due amministratori della Hemmond, Mario Colonnesi, difeso dall’avvocato David Brunelli, Arnaldo Incontri, difeso dall’avvocato Donatella Tesei, entrambi accusati di bancarotta fraudolenta e documentale, e Mario Momi, difeso dall’avvocato Delfo Berretti, che era accusato di aver distratto o sottratto – vendendoli a terzi – beni strumentali della società fallita.  Affronterà invece il processo con rito ordinario (fissato per l’aprile 2012) l’imprenditore di Lanciano Roberto Ferrante, difeso dall’avvocato Ferdinando Mucci, con i capi di imputazione di appropriazione indebita e truffa. Si erano costituiti parti civili (solo nei confronti di alcuni soggetti) un imprenditore di San Marino difeso dall’avvocato Francesco Gatti, e la curatela fallimentare, che ora attenderanno di leggere le motivazioni della sentenza.
Le posizioni dei coinvolti erano molto variegate, ma per tutti coloro che hanno visto accolte le tesi difensive la soddisfazione è grande, dopo anni di attesa. Otto per la precisione. Sollevati soprattutto Colonnesi e Incontri, nei confronti dei quali erano formulate imputazioni particolarmente gravi. Tanto che ieri i loro legali Brunelli e Tesei hanno fatto il punto in conferenza stampa, alla presenza anche del professore Cristian Cavazzoni, che è stato consulente di parte insieme a Massimo Bugatti, e dei diretti interessati.
“A richiedere le assoluzioni è stato lo stesso pm Sergio Sottani, con una nota scritta a nome anche del pm Manuela Comodi, co-titolare dell’inchiesta e del procuratore capo Giacomo Fumu”, ha sottolineato l’avvocato e professore Brunelli. “Anche per questo pensiamo che la decisione del giudice Avenoso abbia posto fine non solo al primo grado, ma a tutta la vicenda giudiziaria, che data dal 2003. La nostra soddisfazione è grande perché le imputazioni a carico dei nostri assistiti erano frutto di un banale errore contabile, un errore evidenziato dai nostri consulenti di parte e poi avallato dal perito nominato dal giudice, il professore Alessandro Gaetano, che ha controllato tutte le scritture contabili della società”. “Dopo il deposito della prima perizia era stato disposto un supplemento di indagni sulle scritture contabili e ne è emersa la perfetta tenuta, così come l’adempimento degli obblighi di legge da parte dei nostri assistiti e l’assenza di ammanchi”, ha aggiunto l’avvocato Tesei.
Tutto la vicenda cominciò, nella fase post fallimentare, da quello che dagli stessi assolti è stato definito un “macroscopico errore contabile”: “Nel compilare i righi degli acquisti effettuati dalla società nel 2002, erano stati per sbaglio sommati anche acquisti di beni effettuati nel 2001. In tal modo vi è stata una duplicazione delle merci in magazzino”. Queste le deduzioni fatte all’epoca: “Dietro 14 milioni di merce mancanti dal magazzino, si ragionò, non potevano che esserci gli amministratori, i quali, rivendendo con ricarico, si erano presuntivamente appropriati di 24 milioni di euro”.
La procura quindi arrivò a formulare per Colonnesi e Incontri, amministratori delegati, rispettivamente, al settore commerciale e al settore amministrativo dal 1998 al fallimento (giugno 2002), l’accusa di banca-rotta fraudolenta per distrazione (di 24milioni) e di bancarotta documentale (ossia di aver sottratto scritture per non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari). “Entrambi hanno subìto indagini penetranti – ricordano i legali – col sequestro di case e studi, nonché intercettazioni e indagini bancarie anche per i familiari”. “Quello raggiunto è quindi un risultato stroardinario – dice Brunelli – perché la procura non ha lasciato niente di intentato nominando nell’ultimo periodo un proprio cnsulente, la professoressa Saitta, che ha concordato sul fatto che l’accusa di ammanco era inconsistente”. La nomina del consulente dell’accusa è seguita a quella di un perito da parte del giudice (i riti abbreviati erano stati richiesti a questa condizione). Hanno parlato anche Colonnesi e Incontri, dando conto delle “vere ragioni” del fallimento Hemmond. “Quando abbiamo depositato i libri in tribunale, in magazzino c’erano 265mila capi di Valentino e di altre nostre linee, 150mila metri di tessuto, 80mila chili di filato, tra cui cachemire e altre materie prime importanti”, ricorda a memoria Colonnesi. “Il motivo della crisi è stato il venir meno della licenza per il marchio Valentino, che ha comportato un repentino abbattimento di fatturato per 20 milioni di euro. Ciò, unitamentente a una esposizione bancaria non da poco, ci fece perdere il supporto del sistema creditizio”. Così chiuse i battenti la ditta di filati conte-sa dal mondo della moda italiano, con 150 dipendenti, 1200 persone di indotto in Umbria e 700 persone in Romania.

Alessandra Borghi

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