Scelte imprenditoriali errate e istituzioni più che latitanti


BASTIA UMBRA (v. a.) – Requiem quasi certo per una delle aziende che ha rappresentato per anni l’eccellenza umbra del settore maglieria. Verrà discussa il prossimo 26 giugno l’istanza di fallimento di Trilly confezioni, di proprietà dell’imprenditore Burchielli, che ha vissuto una crisi acuta per tutto il 2006. Scelte imprenditoriali sbagliate, ma anche poco interessamento dalle istituzioni. Queste le motivazioni che Giorgio Salucci, segretario della Uil locale, ha sottolineato nell’incontro volto a dipingere un quadro tutt’altro che roseo delle condizioni di salute dell’azienda. “Nel gennaio 2006 c’erano oltre 40 dipendenti, che si sono ridotti lo scorso dicembre a 30 e, con il tracollo della situazione, a 5 – dice Salucci – ormai, finita la speranza dell’acquisizione da parte
del gruppo finanziario romano Manieri, è troppo tardi per fare qualcosa”, A decretare la fine della Trilly, spiega Salucci, la crisi gestita in maniera sbagliata: “E’ chiaro che la ditta non riusciva più ad autofinanziarsi, e l’unica boccata d’ossigeno poteva essere l’ingresso di nuovi capitali”. Capitali che sembravano essere disponibili, ma, per motivi poco chiari, non sono più arrivati. Tanto da spingere i sindacali a prendere iniziative per salvaguardare i diritti degli operai, che da settembre non hanno più percepito gli stipendi, Una svolta sembrava giungere dalla richiesta di cassa integrazione, firmata in sede della Regione alla presenza del padrone dell’azienda e di alcuni delegati Rsu, La domanda di cassa integrazione, però, doveva essere attivata dal titolare, che invece non l’ha inoltrata agli uffici ministeriali di competenza, Alla fine, niente cassa integrazione e niente salari arretrati. Troppo per i dipendenti, che hanno iniziato a dimettersi per giusta causa; solo 4 di essi hanno resistito. “Solo di stipendi”, dice Nadia Faticoni, ex lavoratrice alla Trilly, “devono oltre 500mila curo”. Soldi che difficilmente potranno raggiungere le tasche degli operai, che hanno deciso di intentare una istanza fallimentare. “In questo modo, anche grazie al fatto che le istituzioni, in primis il Comune, se ne sono lavate le mani -conclude Salucci – quando è cessata l’opportunità di trattenere i dipendenti, dalla professionalità elevata, la possibilità che aveva un’azienda fiore all’occhiello di sopravvivere è caduta. Non resta che prendere atto del fallimento”.

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