Il filosofo rilegge la figura del santo attraverso Giotto e Dante: «Ci ricorda che non siamo sulla sua via» IL MEDIOEVO? Basta con l’etichetta grossolana dei secoli bui, preconcetta, polverosa. Tutto il contrario, nulla si scopre nell’affermarlo. Quando poi emergono figure ciclopiche, pilastri del pensiero, della razionalità e dello spirito, ogni ponte è gettato verso la conoscenza vera, profonda.
Francesco tra Dante e Giotto nell’interpretazione di Massimo Cacciari: riflessioni e lettura di un periodo lacerato e lacerante, contrasti e conquiste, clamori e silenzi. Ne parla, il professore filosofo, al festival culturale di Oicos, terza edizione dall’1 al 5 settembre su linguaggi e comunicazione. Appuntamento con lui sabato 4 alle 18 (dopo la presentazione mattutina della rivista Davar e di un saggio su Mallarmè) in piazza del Comune ad Assisi, una ripida discesa per arrivare agli affreschi della basilica. Iniziamo dal pittore.
«E’ dagli studi del Thode, un secolo fa, che si afferma come oltre alle aperture filologiche la grandezza di Francesco abbia generato una nuova stagione nell’arte italiana ed europea. Dunque la sua spiritualità diventa fondamentale per spiegare, comprendere le forme espressive nei massimi ingegni del tempo». Tra l’altro Thode, ricchissimo, docente a Heidelberg, proprietario di Villa Cargnacco, il futuro Vittoriale dannunziano, fu tra i primi a indagare su maestri come Mantegna, Tintoretto e, appunto, Giotto. «Il pittore realizza Francesco, lo raffigura in presa diretta dalla vita immaginata, indulge ad aspetti popolari, folkloristici, molto semplici, direi alla portata della gente che era ammaliata, convinta. E’ il Francesco delle storie che seguono la leggenda di Tommaso da Celano». E in Dante?
«Non soltanto lo conosce da quel grande intellettuale che è ma lo interpreta con la dottrina e pratica direttamente le fonti senza le mediazioni che Giotto ha avuto. In entrambi comunque l’aspetto allegorico, simbolico è fortissimo ma con diversa quantità. Prendiamo le Nozze con madonna Povertà: affiora nella basilica inferiore, pur se l’affresco non sia uscito dalla mano del maestro, ma nella zona superiore l’aspetto allegorico è secondario alla narrazione».
Il poeta trasfigura Francesco…  «Per Dante è al centro della sua profezia religiosa che è interamente francescana e vicina alle correnti spirituali. In Santa Croce il giovane Dante ha ascoltato uno dei massimi rappresentanti francescani, Pietro di Giovanni Olivi, tra il 1287 e l’89 professore di teologia al convento, leader della corrente degli spirituali. In Giotto il ruolo della chiesa è primario, il compromesso esiste: esalta la pace con Roma, non c’è dibattito, è conciliante».Nella Commedia?
«Sprizzano il contrasto, la decadenza, l’orrore. Nel contesto dell’opera Francesco è il santo della riforma radicale in polemica con la chiesa imperante».
C’era minaccia di eresia?
«Ma no, proprio no. Le date di accoglimento della regola, la popolarità, le Bolle pontificie sulle stigmate, importantissime e volute nel ‘200 per certificare la realtà, travolgono ogni obiezione. Però vengono fuori il conflitto con i domenicani, il contrasto tra spirituali e conventuali».
Francesco e il sultano..
«Episodio base: in Dante è la predicazione del Cristo, Giotto indulge all’elemento favolistico, leggendario, taumaturgico, la sfida del fuoco».
Francesco, oggi.
«L’attualità del suo messaggio sta nella sua completa inattualità. Ci fa ricordare che non siamo sulla sua via, neanche lontanamente.» Appunto. �

Mimmo Coletti

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