di VITTORIO FELTRI



Anche noi gazzettieri ogni tanto dovremmo fare autocritica e darci una regolata. Basta che un pisquano qualunque dica una stupidaggine, subito lo prendiamo sul serio. Titoloni, fotografia, didascalia, biografia quando sarebbe sufficiente pubblicare un breve tracciato encefalografico per evadere la pratica. Noi di Libero siamo un po’ diversi dai colleghi, altrimenti non ci seguireste, suppongo; tuttavia incorriamo spesso nell’errore di dare voce alla stoltezza. Propongo un paio di esempi di cui sinceramente mi vergogno. Alcuni giorni orsono si ebbe notizia che Beppe Grillo, (…) comico imbolsito ma ancora capace di guizzi irritanti il potere, aveva collezionato un pacco di lettere-lagnose contro il cosiddetto precariato, messe in rete ad uso e consumo di chi è rimasto offeso dai pungiglioni tossici del comunismo. Una antologia di fregnacce e di freddure sulle presunte ingiustizie causate dalla famosa – ormai famigerata legge Biagi. Biagi, giova ricordare, è quel tale (di sinistra) autore della normativa grazie alla quale la nostra asfittica economia ha ripreso un fil di fiato. Non importa. C’è chi si ostina – Grillo in testa – a demonizzare il giuslavorista considerandolo responsabile di un ritorno alla grande dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per attenerci al linguaggio dei compagni cavernicoli. Sta di fatto che Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica di estrazione profondamente rossa, alla lettura dell’epistolario pistola raccolto dal signor Comico, si è commosso e ha inviato a questi una lettera di congratulazioni. Se avessimo voluto fare una cortesia al Capo dello Stato, avremmo dovuto tenere la cosa riservata, evitando così di esporlo a una brutta figura. Invece, colti da un attacco di perfidia, abbiamo divulgato con evidenza sia l’opera da due soldi di Grillo sia il giudizio imbarazzante di Napolitano, rendendo un pessimo servizio alla reputazione dell’attore e a quella del Quirinale. Il secondo esempio è addirittura peggiore. Francesco Caruso, deputato di Rifondazione, che già espresse tutta la sua intelligenza piantando la cannabis alla Camera, giovedì se n’è uscito con una lucida osservazione sul solito Biagi e su Treu: sono degli assassini. Domanda: come mai assassini? A me sembravano brave persone, obietterei. Spiegazione del genietto rifondarolo, no global e roba del genere: colpa loro se tanta gente crepa in incidenti sul lavoro. Andrebbero perseguiti per omicidio plurimo e volontario? Non si può perché Marco Biagi è già stato “giustiziato” dalle Brigate rosse in esecuzione di una infallibile sentenza del popolo, lo stesso popolo che presumibilmente ha votato Caruso per affinità di sentimenti. Non intendo dire che l’onorevole Cannabis sia assimilabile al Partito armato, benché per sparare spari. Però finora – gli va riconosciuto – non ha sparato piombo bensì soltanto cazzate. E uno che lancia certe cazzate non dovrebbe finire sul giornale ma sul mattinale dell’infermeria. Noi invece e altri quotidiani forse ingannati dal ruolo istituzionale di Caruso Francesco – l’abbiamo sbattuto in prima pagina, neanche fosse Pippo Baudo. Facciamo ammenda e chiediamo venia purché a noi scribi si unisca Fausto Bertinotti (con i suoi colonnelli dell’Armata rossa) artefice numero uno dell’inclusione del Cervello Fuoribordo nelle liste elettorali di Rifondazione comunista. Che non è il Rotary ma nemmeno il Club alcolisti anonimi, e non era obbligata a rimorchiare un ubriaco di rosso antico come Caruso. L’avrà fatto per opportunismo, per ottenere il consenso dei disubbidienti e degli sbandati; e si può comprendere. Non si comprende viceversa perché, davanti a simili prove oggettive di squilibrio, il partito non agisca nell’unico modo previsto in determinate circostanze: chirurgicamente. Fuori il bubbone, fuori il dolore.

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