di MATTIAS MAINIERO


Due meno meno a Fausto Bertinotti ieri ospite di “Otto e Mezzo”. Un’intervista da dimenticare, una frana istituzionale. Ci dispiace, sinceramente: stiamo parlando della terza carica dello Stato, del presidente della Camera dei deputati intervistato su La7 da Giuliano Ferrara. Se non altro per carità di patria, non vorremmo usare voti così squalificanti. Ma la colpa non è nostra. Bertinotti ieri non era particolarmente su di giri, non era (almeno dobbiamo presumere) in vena di scherzi. Ha parlato in piena autonomia e in piena sanità mentale. E ha detto: «Mi piacerebbe ci fosse una dittatura di Rifondazione comunista, ma, con tutta evidenza, non è così». Non ha specificato, il democratico compagno Fausto, se la dittatura gli piacerebbe con i carri armati o solo con il filo spinato. Di nuovo dobbiamo presumere che, una volta instaurata la tirannide, il resto verrebbe da solo. Come le ciliegie: una tira l’altra. Prima Bertinotti, poi una spruzzatina di rosso con redistribuzione del reddito e ceto medio alle corde, poi un signore con i baffi. Fermi tutti: conosciamo già l’obiezione. In Italia c’è sempre un’obiezione per tentare di giustificare un discorso ingiustificabile: Bertinotti ha usato un’iperbole, ha calcato la mano per rendere l’idea, ha fatto una provocazione. Sarà. Intanto, Bertinotti l’ha detto, con l’aggravante di averlo detto non come privato cittadino o leader di un partito ma nella sua qualità di presidente della Camera dei deputati. Avesse dichiarato una cosa del genere Pier Ferdinando Casini, il Palazzo di Montecitorio sarebbe venuto giù a forza di insulti e richieste di scuse ufficiali. Non si può, è assurdo, è contro ogni regola. Organizziamo uno sciopero, facciamo un girotondo. Si sarebbe fermata l’Italia, giustamente. E in prima fila a protestare ci sarebbero stati i leader di Rifondazione comunista. Lo ha dichiarato Bertinotti e nessuno ha fiatato. Lui può. Non si sa bene per quale motivo, ma può anche straparlare. E ora noi vorremmo capire come potranno gli elettori italiani sperare che alla Camera si svolga un dibattito sereno ed equilibrato sulla manovra economica. Chi farà da garante, il presidente Bertinotti che vuole la dittatura sia pure come iperbole o provocazione o chissà cosa oppure il presidente della Camera che anima e corpo si schiera a favore di questa Finanziaria e bacchetta l’opposizione? Cose mai viste ieri a “Otto e Mezzo”. Dimenticate la correttezza istituzionale, il riserbo che fu di tanti altri presidenti di Montecitorio. Dimenticate le regole. Bertinotti è un arbitrogiocatore: commette falli da rigore e non li fischia. Lo abbiamo detto: lui può. Domanda sulla Finanziaria e le accuse al governo Prodi di averla scritta sotto dettatura della sinistra massimalista. Risposta: «In Italia, quando viene fatta una cosa appena giusta, decente, immediatamente viene attribuita ai comunisti, alla sinistra radicale». Ergo, abbiamo ragione noi, gli altri non capiscono nulla e il primo che obietterà si ritroverà nei guai. Domanda su quella redistribuzione del reddito che è diventata la formuletta di rito del centrosinistra, buona per mascherare qualunque fetenzia fiscale. Risposta: «Una politica fiscale che tende ad operare una redistribuzione del reddito è una cosa giusta». Dunque, chi si opporrà farà una cosa ingiusta e io non lo permetterò. Domanda sui manifesti affissi da Rifondazione comunista con lo slogan “Anche i ricchi piangono”. Risposta: «Per disciplina di partito sarei stato indotto ad af figgerli anche io. Bisogna decodificare l’invettiva. In questo caso il messaggio del manifesto è: siccome quello lì fa fatica ad arrivare a fine mese, se un miliardario ci mette una lacrima della sua ricchezza non è un male per il Paese». Quindi, sia pure con un bertinottiano giro di parole e un richiamo alla solidarietà sociale, è giusto che i ricchi piangano, visto che sono colpevoli di essere ricchi. Senza freni. Un Bertinotti così in forma (smagliante forma comunista), così faziosamente schierato, non l’avevamo mai visto né sentito. Ha difeso il governo Prodi che secondo lui durerà in carica cinque anni (nonostante gli errori della maggioranza), ha attaccato Berlusconi schierandosi con il ministro Padoa Schioppa, ha mandato persino a quel paese Piero Fassino colpevole di volere il Partito democratico e per finire, dopo essersela presa con Di Pietro e le sue dichiarazioni su Sergio De Gregorio («non doveva usare la frase giudeo traditore»), ha spiegato che lui non si sente «prigioniero della Camera». Non stentiamo a crederlo: i prigionieri, ormai, siamo noi. Prigionieri non di una dittatura rossa (che non verrà, ne siamo certi): del presenzialismo dei potenti, del loro infischiarsene delle regole, di questo continuo mostrarsi in pubblico, esibirsi, sorridersi, applaudirsi, piacersi. Caro presidente, ci risponda: non le sembra di esagerare con le interviste, gli interventi, le prese di posizione? Prima gli auguri a Fidel Castro per gli ottant’anni del dittatore, senza neppure una parola sui diritti umani e politici calpestati a Cuba dal compagno Fidel. Passi pure: uno scivolone una tantum non si nega a nessuno. Poi qualche intervento a gamba tesa. Ora pure la dichiarazione d’amore per la dittatura di Rifondazione comunista, che forse è solo una forzatura, un modo di dire, un paradosso, ma che dichiarazione d’amore resta. E lei sarebbe un presidente della Camera dei deputati? Lei, sia detto con tutto il rispetto, è solo vittima (ora è il caso di usare la parola) della dittatura di oggi, quella della presenza, della partecipazione, dell’inaugurazione, della foto, dell’appuntamento che non si può saltare e della dichiarazione che non si può negare, costi quel che costi, anche una figuraccia istituzionale. La dittatura dei pavoni, che può fare danni gravissimi. Accetti un consiglio, signor presidente della Camera: si conceda un po’ di riposo, rinunci a qualche intervista, prenda esempio dagli altri presidenti, pure da Casini, se vuole. Si faccia venire un’influenza e se ne stia a casa o chiuso a Montecitorio. Accusi un’improvvisa raucedine. In caso contrario, dobbiamo solo sperare che dopo la redistribuzione del reddito qualche politico di buon cuore e di fine intelligenza chieda la redistribuzione dell’esibizione. Verserà anche lei una lacrima, ma tutti noi tireremo un sospiro di sollievo. Anche questa è solidarietà.
 
 
 

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