Bastia

Assisi Antiquariato Prezioso «scrigno» del tempo

 MOSTRA MERCATO A UMBRIAFIERE 
 
— BASTIA — _
LO SMALTO del tempo si posa con delicatezza, la luce esalta, accarezza, intride. Non c’è il disfacimento dell’ora che fugge, semmai esaltazione di stili e costumi lontani alla mostra degli antiquari italiani (ma anche francesi, belgi, spagnoli, e la pattuglia degli umbri è di tutto rispetto) di scena all’Umbriafiere fino al primo maggio. Appuntamento privilegiato, come e più del solito, con il senso della storia e del gusto, la sottile nostalgia che afferra di fronte a un’opera, la bellezza e l’armonia che conquistano cuore e mente. E’ancora cresciuta di tono, questa mostra: lo dichiarano i numeri, quasi 90 espositori, comunque un parametro puramente indicativo, ma soprattutto lo indicano senza incertezze lo spessore dei pezzi, la rarefatta scelta delle testimonianze per cui su uno standard elevato si elevano punte di assoluta densità formale. Trentacinque anni dall’inizio, di cui quindici trascorsi nelle zone inferiori del convento francescano di Assisi. Pare un’epoca distante, eppure è solo l’altro ieri che si entrava in quelle rapinose prospettive, in scorci fuggitivi, cornice perfetta per un viaggio interiore. Poi il trasferimento nella sede più distesa e funzionale, ora rivisitata completamente tanto che il percorso si snoda con facilità pur se la somma delle sollecitazioni visive sia enorme.


A ESSERE veloci nella visita si spendono bene almeno un paio d’ore e la carrellata parte dalla classicità di statue greche, da archeologia egizia e africana, da ceramiche apule presentate in gran parte da L’Antica Arte per toccare i nostri giorni, il ’900 pieno, magari sotto forma di quadri di Campigli, Bueno, De Chirico, Rosai, De Pisis, Guttuso, Picasso (San Giorgio). Tra i due estremi si apre lo scrigno dei tesori, e non è sciocca retorica affermare che la rassegna voluta dalla Cima sia oggi tra le maggiori esistenti. Difficile, anzi impossibile sottolineare anche le sole cose maggiori. Si va per rapidi appunti rammentando il gustoso Biedermaier di Volpini, i pizzi spumeggianti di Antiqua, e sono tovaglie regali, gli arazzi e i tappeti immensi per dimensioni e schiettezza di colori di Khayyam, le sculture venete, genovesi, spagnole, inglesi del Cartiglio, una raffinatissima statua marmorea del ‘400 nello stand Riccardi dove sono presenti anche due fondi oro di Paolo da San Leocadio, una Madonna con Bambino del Laurana, un Cristo di Jacopo del Sellerio.


APPENA L’INIZIO del percorso. Allora un flash sulle armature di Cassani, il Liberty pulsante e fascinoso di Ariostea, le grafiche di Kekko (i due Tiepolo, Allori, Palma il Giovane, Cipriani, Barocci, uno studio di Fabio Canal che è una nuvola piena di sospiri), i quadri di scuola romana (Antichità di Claudia Valenzi), ancora tappeti (Preda), le nature morte fastose e festose di Poggi, sei piccole, smaglianti scene della Passione (Rossi e Onesti), una Madonna dell’Albertinelli (Bigot), il 900 rivisitato da Pallocca, i vetri di Gallé (Brusasca), i gioielli di Mazzoli e di Angelo d’Oro. Il resto da scoprire: un Everest di delizie.
mimmo coletti

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