A Bastia Umbra convegno di Oicos con il periodico “Terrecomp” diretto da Stefano Brufani
Un quadro vive con noi se lo abbiamo in casa, o lo ammiriamo in una galleria d’arte o in un museo; un brano musicale o una poesia sono creazioni di cui godiamo intimamente o nei luoghi deputati. Non così un palazzo storico davanti al quale passiamo la mattina mentre andiamo al lavoro; non così una piazza della città che, disegnata da vie che si dipartono e da edifici, verde, lampioni, panchine, monumenti, eccetera, fa parte dell’urbanistica; palazzo e piazza sono realtà fuori, esterne, altre, che ci sfiorano o ci aggrediscono perfino con intensità differenti a seconda di come ci sentiamo, se tranquilli o agitati. Fatta questa premessa, è anche vero che mentre un dipinto di Segantini o un preludio di Chopin o un idillio di Leopardi ci possono cambiare se non la vita almeno l’umore della giornata, una casa brutta o incongrua ci passa sopra come sabbia fra le dita, una strada sbagliata e assurda ci è indifferente a meno che non sia piena di buche, perché disturba le sospensioni della divina automobile. L’architettura e l’urbanistica, insomma, non sono ancelle virtuose del vivere contemporaneo, sono mercenarie della speculazione e dei suoli.
E, assurdità, quando un progetto audace vince sulla mediocrità di visioni consunte, e riesce a essere costruito, si grida allo scandalo perché collide con le “idee ricevute”, insomma introduce il caos nell’ordine, il che non vuol dire disordine insensato ma attuazione di quel profetico aforisma di Rimbaud: “bisogna essere assolutamente moderni”, il che a sua volta non significa indulgere in esercizi rocamboleschi o funambolici, a meno che non vi sia del genio nella follia. Queste e altre suggestioni ha vissuto chi scrive, da cronista, assistendo al convegno “Architettura Umbria 2010: segni del contemporaneo”, promosso a Bastia Umbra da Oicos, benemerita associazione presieduta da Paolo Ansideri, con il periodico “Terrecomp” diretto da Stefano Brufani e ospitato da Umbriafiere, e con la collaborazione degli ordini degli architetti e degli ingegneri dell’ Umbra. Dopo i saluti dei Sindaci del ‘comprensorio’ Bastia, Assisi, Bettona, una serie di puntuali relazioni ha illustrato lo ‘stato dell’arte’ in cui versa l’ architettura regionale, con brevi escursioni nel terreno dell’urbanistica, binomio troppo sovente umiliato sia dalla bruttezza di certi condomini, sopradimensionati o privi di verde, sia dalla distribuzione poco o punto pensata secondo le regole dell’armonia estetica, della funzionalità pratica, delle previsioni demografiche e di sviluppo, e via elenacando. Nell’impossibilità di dar conto in modo completo alla miriade di rinvii, di citazioni, di riflessioni, e sì anche di lamentazioni e critiche, è corretto partire dalla “Casa evolutiva” del 1978, geniale prototipo modulare per la Vibrocemento, ideato dall’atelier Renzo Piano&Peter Rice, costruita a Bastia, e ora dal destino incerto: recuperare e restaurare o demolire? Questo è il problema. Se sia meglio continuare a costruire pessime e squallide unità abitative, senza tener conto della viabilità o degli spazi di verde attrezzato, o salvare quelle rare vestigia contemporanee che l’incuria o l’ignoranza esiliano nel degrado? Architettura sì, magari ogni tanto disegnata da’archistar’, o stanche repliche ogni tanto infiocchettate da paraste o da serliane o da materiali innovativi di dubbio gusto. Non sono mancate,come volevasi dimostrare, le stilettate contro cubo di Fuksas che non sarebbe sufficientemente mistico, o contro i cosiddetti eccessi incomprensibili agli architetti figuriamoci alla gente. Quel che manca, invece, come capita all’arte visuale, è una piena, sviluppata, approfondita cultura, una conoscenza internazionale, un atteggiamento aperto, insomma lo studio. Tutti i relatori, da Paolo Vinti, che ha tentato di dettare le definizioni e le regole del ben costruire e ben inserire i manufatti nel paesaggio naturale e della città, a Emidio De Albentiis che ha polemicamente innescato critiche dure contro certa spocchiosa insipienza di scelte incongrue e di scarsa caratura artistica (si vedano certe sculture installate nelle rotonde di Perugia o nel Minimetrò il lettering che si sfalda), e lodato alcuni interventi sobri e concettualmente azzeccati (la sistemazione della piazza di Santa Maria degli Angeli di Bruno Signorini, ad esempio); da Francesco Scoppola a Mario Pisani, da Silvia Giani ad Alessandro Almadori a Francesco De Rubertis, hanno sia pur con sfumature diverse talvolta perfino accentuate, hanno condiviso nel denunciare un futuro incerto non solo della professione di architetto, di urbanista o di ingegnere progettista, ma della considerazione assai bassa che professionisti così determinanti per il gusto, la simmetria o la disarmonia prestabilita, per la vivibilità e la mobilità delle città, godono in chi decide e finanzia opere pubbliche o legifera in materia. Davvero intelligente, se pur complessa per menti non allenate, la relazione di Massimo Mariani, dedicata ai “Modelli non euclidei nell’architettura contemporanea”. Provo a declinarne alcuni passi, iniziando dalla constatazione che il Novecento, il secolo da un decennio lasciato alle spalle, ha assistito spesso come inebetito a una serie di scoperte: della logica, della matematica, della fisica, della filosofia, dell’astrofisica, formidabili, sconvolgenti, rivoluzionarie. Come può darsi o immaginarsi un’architettura che non ne faccia tesoro? Risale al 1828 l’avvento della geometria non euclidea, iperbolica, che mette in discussione di Euclide, ma poi, negli anni di questo secolo breve (da una prima guerra all’altra con intervallo di poco più di tre decenni), è stato tutto un crescendo di miracoli: la relatività einsteiniana, l’elaboratore di Turing, la teoria del caos nel 1979, il principio di indeterminazione di Heisenberg nel 1927, nel 1931 i teoremi d’incompletezza di Goedel, e altre novità esplosive. Da qui, da ricerche matematiche discende il Museo di Bilbao disegnato da Gehery; e vengono i ‘mostri’ di Calatrava, di Foster, di Piano, di Ando, di Arata, di Lebenskind. Una cosa è certa. Senza architettura non si può vivere, ma di cattiva architettura si può morire.
di Anton Carlo Ponti
Pdf: Corriere-2010-03-18-pagVIII
Terrecomp è diretto da Francesco Brufani
Detto Bruk
Un “festival” di parole e argomenti preconcetti, che rasentano perversi e vani ragionamenti sull’arte e sull’estetica, applicata al paesaggio e l’ambiente urbano.
“Un quadro vive con noi se lo abbiamo in casa, o lo ammiriamo in una galleria d’arte o in un museo; un brano musicale o una poesia sono creazioni di cui godiamo intimamente o nei luoghi deputati. Non così un palazzo storico davanti al quale passiamo la mattina mentre andiamo al lavoro; non così una piazza della città che, disegnata da vie che si dipartono e da edifici, verde, lampioni, panchine, monumenti, eccetera, fa parte dell’urbanistica; palazzo e piazza sono realtà fuori, esterne, altre, che ci sfiorano o ci aggrediscono perfino con intensità differenti a seconda di come ci sentiamo, se tranquilli o agitati.”……………………………………………………………………………………………………
E’ molto facile parlare a ruota libera su qualcosa che entusiarma il lettore…