A Bastia confronto con il giornalista che ha ripercorso l’intero viaggio della speranza


BASTIA – “Un cimitero chiamato Sahara”: è il titolo di un incontro con il giornalista Gabriele Del Grande, autore del libro “Mamadou va a morire”.
Si svolgerà mercoledì 13 maggio, alle ore 21, presso la Sala Consiliare del Comune di Bastia Umbra.
L’iniziativa è stata promossa in collaborazione con l’Associazione IL Pettirosso di Terni.
Gabriele Del Grande, nato a Lucca nel 1982, ha vissuto e lavorato prima a Roma, realizzando reportage per l’agenzia stampa Redattore Sociale, poi in Sicilia, da dove continua a seguire l’osservatorio sulle vittime delle frontiere Fortress Europe (http://fortresseurope.blogspot.com). Il suo blog è una finestra aperta sulle rotte dell’immigrazione clandestina, una denuncia documentata degli accordi e dei programmi di contrasto della mobilità e del diritto di fuga.
Anno dopo anno il suo lavoro lo porta a segnare sulla carta geografica le rotte dei migranti in Turchia, Grecia, Tunisia, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Mali, Niger, Burkina-Faso e Senegal. Da questo lavoro è tratta la sua prima opera: “Mamadou va a morire” (2007), già tradotto in molte lingue.Un viaggio affascinante sulle rotte dell’immigrazione, attraverso le storie di chi ce l’ha fatta e di chi purtroppo è perito, per un sogno chiamato Europa.“Mamadou va a morire”racconta le vittime dell’immigrazione clandestina, l’invasione che non c’è e i nuovi gendarmi di un cimitero chiamato Mediterraneo.
Dal 1988 almeno 10.000 giovani sono morti tentando di espugnare la fortezza Europa. Vittime dei naufragi, ma anche del Sahara, degli incidenti di tir carichi di uomini, delle nevi sui valichi, dei campi minati e degli spari della polizia.
Mamadou va a morire è il racconto coraggioso di un giovane giornalista che ha seguito per tre mesi le rotte dei suoi coetanei lungo tutto il Mediterraneo, dalla Turchia al Maghreb e fino al Senegal, nello sforzo di custodire i nomi e la memoria di una generazione vittima di una mappa. Il suo è anche un grido d’allarme su una tragedia negata, che chiama in causa l’Europa, i governi africani e le società civili delle due sponde del Mare di Mezzo.
Nelle sue parole non c’è solo il racconto in presa diretta di un testimone, ma ci sono le storie di rifugiati e di giovani migranti, il cui sogno si è infranto lungo le piste del Sahara o nei fondali marini. Racconti e vite che chiedono di non essere rimossi, che chiedono giustizia per chi è ancora vivo.

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