Intervista a Gianni Vattimo sul tema del rapporto tra dialogo e dominio
“E’ sbagliato considerare una verità unica”


E’rispresa l’attività di Oicos riflessioni. L’associazione culturale, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Bastia, ha portato in questi anni all’attenzione del pubblico umbro i più importanti rappresentanti della cultura italiana. Sono Stati protagonisti degli incontri oltre 50 nomi della cultura italiana tra cui: Achille Bonito Oliva, Umberto Galimberti, Paolo Portoghesi, Emanuele Severino, Vittorio Sgarbi, Oliviero Toscani. Nell’anno 2007 l’associazione ha raggiunto la sua maturazione, con un grande sforzò, ché le ha permesso di organizzare a giugno il secondo Oicos Festival: quattro giorni intensi di conferenze, mostre, concerti, intrattenimento. E’ da queste esperienze che è nata la nuova proposta culturale iniziata con due importanti appuntamenti. Gianni Vattimo, incontro già svolto sul tema del “Dialogo, dialettica, dominio” e Sergio Givone, 17 Gennaio, sul tema “Filosofia e tragedia”, Municipio-Sala del consiglio, ore 16,30.


Il primo incontro dunque con Gianni Vattimo, allievo di Pareyson e Gadamer è ordinario di filosofia teoretica all’università di Torino, editorialista de La Stampa, La Repubblica e L’Espresso, è stato impegnato politicamente con i radicali, poi nei Ds, di cui è stato parlamentare europeo e quindi nel Partito dei Comunisti italiani.
La sua concezione filosofica, il cosiddetto “pensiero debole”, in contrapposizione alle filosofie forti dell’ottocento e del secolo scorso, professa l’accettazione dell’errore, del volatile, dell’effimero e quindi di tutto ciò che è storico e umano. In questa caducità e nella sua accettazione consiste la natura dell’uomo. Secondo Vattimo il pensiero debole è la soluzione per la diminuzione della violenza e la via per la tolleranza. La strada per la progressiva democratizzazione delle società e per il superamento delle differenze sociali. Nel suo cammino teorico, pur rimanendo fedele all’impostazione di de-potenziamento di teorie assolute e definitive, si mostra tuttavia attento alle grandi istanze del pensiero marxista e del cristianesimo stesso.
E’ possibile nel mondo contemporaneo una qualche forma di dialogo? E ancora concepibile che la posizione dell’altro venga ricompresa in un ordine superiore o solo il dominio, il puro potere, sono la forma unica di comprensione? Era calata interamente entro questo percorso intellettuale e politico la conferenza di uno dei più importanti pensatori del nostro tempo.


All’incontro di Oicos riflessioni a Bastia Umbra ha parlato di “dialogo, dialettica, dominio”. Può spiegarci la relazione fra i termini?
“La fiducia nel dialogo, a cominciare da Platone, è sempre stata legata all’idea che ci sia una verità oggettiva, data, che con il dialogo si deve poter raggiungere. Ma questo implica sempre, come si vede in Platone, che ci sia qualcuno che “dirige” e guida il dialogo, e che in qualche modo sa già come va a finire. Del resto, Platone pensa che la verità la sappiamo tutti già, è data, e si tratta solo di ricordarla. Ciò che interessa in questo discorso è che il dialogo funziona sempre solo se c’è una auctoritas che lo guida – la verità data, il maestro che interroga. Il dialogo si rivela dunque come fondato su una struttura di dominio. La dialettica è del resto una struttura triadica, che suppone un momento finale in cui si ripete il momento iniziale con l’acquisizione di qualcosa di intermedio che lo svolge, lo completa, lo attua”.
Le guerre contro il terrorismo e guerre scatenate del terrorismo.


Secondo lei, la filosofia ha delle responsabilità? E’ stata in grado di interpretare l’epoca del nichilismo, della caduta dei valori, o ha continuato a pensare con vecchi strumenti (la metafisica)?
“La filosofia determina assai poco, a meno che non sia la filosofia del principe. Non direi quindi che la filosofia abbia dedle responsabilità nell’attuale scatenarsi di violenza, in qualche senso è vero quello che diceva Hegel, che la filosofia è come la civetta di Minerva, viene dopo, si leva al tramonto. Nelle società democratiche, però, conta come una voce che può orientare l’opinione pubblica, nella misura in cui questa non è manipolata da altre agenzie. L’idea di una verità che il filosofo dovrebbe conoscere per poterla trasmettere agli altri è però strettamente legata alla struttura autoritaria della società. Se viene meno o si attenua questa struttura, come nella democrazia moderna, anche le pretese di verità assoluta della filosofia vengono meno, devono essere ridimensionate. E’ questo che da filosofia deve
capire nell’età del nichilismo. In questa età, essa deve funzionare soprattutto come liberazione dagli idoli, secondo il detto di Wittgenstein. Se ha una responsabilità nello scatenarsi della violenza, questa consiste nella pretesa ancora metafisica di conoscere una verità assoluta”.


Secondo alcuni la tecnica avrebbe svuotato, resa insignificante, la religione. Eppure la religione oggi sembra uno dei motori della storia. Si parla molto di Islam, delle radici cristiane dell’Europa. Cosa pensa di queste letture della religione come strumento di geopolitica?
“Religione che torna nel mondo tecnico? Per tante ragioni: le possibilità inedite della tecnica disorientano, creano un senso di novità non dominabile, e quindi c’è una reazione ancora magica al mistero del mondo. Ma si tratta di religione o di superstizione derivata da una specie di agorafobia, dalla paura degli orizzonti troppo aperti che il mondo ci presenta? L’stinto di rifugiarsi nella comunità chiusa di famiglia, chiesa, dogmi, per essere più sicuri. Necessità che la filosofia capisca i limiti di questo ritorno alla religione -superstizione per scoprire eventualmente un senso più autentico della religiosità”.


Alla luce della recente crisi finanziaria, crede che vi sarà una mutazione nel capitalismo inteso come puro liberismo? E se sì come?
“Una trasformazione profonda della società, di cui abbiamo bisogno, può avvenire purtroppo solo se c’è una crisi che “svegli” l’opinione pubblica e l’elettorato. Dobbiamo per questo augurarci una crisi catastrofica? Certo che no. Ma possiamo lavorare perché la crisi, che accade senza che noi la vogliamo, non si risolva in una restaurazione – come sta succedendo: le banche “salvate”, come l’Alitalia, con il denaro dei contribuenti che esse prima hanno provveduto a spennare”.


 Alcuni sperano in un nuovo capitalismo. E’ pura retorica parlare di capitalismo etico?
“Non credo che ci sia un capitalismo “buono”. Vero è che non ho neanche idea di una società diversa che si possa descrivere in termini positivi, come un progetto che si tratterebbe di applicare. Teoria e prassi non possono che andare di pari passo. Il che significa: costruire un modello di società alternativa confliggendo sui punti che via via si rivelano come insopportabili e mutabili. Ma alla fine una prospettiva di questo genere finisce per dover essere ispirata più religiosamente che storico-politicamente. “I poveri li avrete sempre con voi”; non penso che ci si possa adagiare mai in una situazione di “normalità” costituzionale. La democrazia non è qualcosa che stabiliamo una volta per tutte, è un progetto sempre in fieri”.

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