Non so perché la Cgil, l’Up, l’Anpac e gli altri abbiano fatto questa bizzarra scelta: «muoia Sansone con tutti i Filistei». Gusto dell’orrido? Germi di follia? Antiberlusconismo ottuso all’ennesima potenza? Troverete nelle nostre pagine tutte le interpretazioni e le possibili dietrologie. Qui non voglio perdere tempo a esaminare razionalmente il frutto di una follia. Sarebbe come cercare di interpretare quel tale che al manicomio, credendosi Muzio Scevola, voleva farsi tagliare il braccio sinistro. Perché?, gli chiesero. E lui: «Così non mi brucerò la mano».
I sindacati hanno tirato la corda fino all’ultimo, rilanciando sul filo di lana, come avevano già fatto con Air France. La stessa tecnica kamikaze, la stessa aspirazione suicida. Lo stesso risultato: è scappata Air France, è scappata anche la cordata di Colaninno. La differenza è che ora non c’è più nulla da fare. Alitalia, dopo 61 anni di più o meno onorato servizio, chiude i battenti. È fallita. Uccisa. Morta ammazzata. Gli aerei resteranno a terra. I lavoratori a spasso. I resti dell’azienda diventeranno cibo per corvi. Eppure i becchini dell’aquila selvaggia fanno festa. Girotondo intorno al cadavere.
L’avete vista la foto in prima pagina? Alitalia fa crac e l’hostess ride. Che strano: pensavamo fosse un altro il crac che dà alla testa. Invece guardatela è proprio felice: sprizza allegria da tutto il tailleur. Ma sicuro signorina, c’è proprio da gioire, no? E per continuare la festa che facciamo? Chiudiamo anche due negozi? Tre imprese artigiane? Mandiamo sul lastrico qualche centinaio di operai? Ma sì, dai: sai le risate che ci si fa, con un paio di fallimenti.
Del resto da giorni i furbetti dell’hangarino occupano strade e aeroporti mostrando corde e cappi (la Cai sarebbe il boia?) e slogan del genere: «Meglio falliti che in mano ai banditi». Banditi? Colaninno? Benetton? La Marcegaglia? Il meglio dell’imprenditoria italiana? Quelli che mettono mano al portafoglio e fanno una proposta, assumendosi il rischio in proprio? Davvero sono loro i banditi? O i banditi sono quelli che hanno occupato per anni l’Alitalia, che hanno comandato, dettato regole, posto veti e provocato questo letame, che ha concimato soltanto i loro privilegi?
La risposta è evidente. E per questo l’Alitalia diventa da oggi il segno, il simbolo, la dimostrazione (più morente che vivente, purtroppo) che un Paese in mano allo strapotere dei sindacati non ha futuro. Un Paese in mano allo strapotere dei sindacati muore. L’Alitalia è sempre stato, fino all’ultimo, il posto dove le sigle (tante, troppe) dei lavoratori facevano il bello e il cattivo tempo. Il cattivo (per gli altri) e il bello (per loro). Non a caso, mentre la compagnia di bandiera scendeva nelle classifiche internazionali, mentre il tasso di efficienza di ogni dipendente si riduceva alla metà di quello della Lufthansa, i mandarini della carlinga vedevano crescere i loro privilegi incredibili, compresi l’indennità «per assenza del lettino» e il riconoscimento come orario di lavoro anche della pennica domestica. Il terzo comma dell’articolo 2 del regolamento, quello che disciplina, il «giorno singolo libero dal servizio» è arrivato perfino a stabilire che il giorno libero, per i piloti, dura 33 ore. Proprio così: 7 più di tutti gli altri cristiani.
Ora, voi capite: a questi viziati fra le nuvole, a questi signorotti della cloche, vassalli della regalia aeronautica, che guadagnano come ridere 158mila euro l’anno (più varie ed eventuali) e che hanno avuto la forza di modificare la durata del giorno da 24 a 33 ore, a loro, che cosa importa del fallimento dell’Alitalia? Prenderanno un po’ di cassa integrazione e avranno la giornata libera per smarchettare di nascosto, voli privati o servizi all’estero. È per questo che ridono, che sono contenti. Il prezzo delle loro risate, come al solito, lo pagano i più deboli: i lavoratori meno garantiti, innanzitutto. E il Paese, subito dopo.
È per questo che da sempre i sindacati hanno fatto fallire ogni tentativo di salvataggio dell’Alitalia. Forse vale la pena di ricordare: non è solo la questione delle ultime ore, degli ultimi mesi. È da anni che si mettono di mezzo, ogni volta che c’è un acquirente: anziché accendere un cero e sperare che finalmente arrivi qualcuno a riparare le loro malefatte, questi bonzi troppo satolli hanno sempre trovato un motivo per contestare, una clausola da inserire, un paletto da piantare. Alla fine tutti i compratori se la sono data a gambe levate.
Sono i professionisti dello sfascio, i principi dell’autolesionismo, i gran visir della catastrofe. I sindacati non rappresentano più i lavoratori, non rappresentano più il lavoro. Ma ottengono ancora un potere di interdizione enorme: qualcuno mi sa spiegare perché in Italia hanno diritto di veto su ogni piano industriale? Qualcuno mi sa spiegare perché hanno voce in capitolo su ogni riforma sociale? Il rischio è lo stallo, loro non desiderano altro: le inefficienze garantiscono le rendite di posizione. Così i sindacati si oppongono al rinnovamento della pubblica amministrazione, non vogliono il cambiamento della scuola, protestano contro il salvataggio delle Ferrovie. Da anni bloccano l’introduzione del macchinista unico sui treni, da anni bloccano la quotazione di Fincantieri, da anni bloccano il mercato del lavoro e la crescita dei contratti aziendali. Sono arrivati perfino a boicottare e a contestare le imprese (come Fiat e Della Valle) che aumentavano gli stipendi ai dipendenti. Tanto ai sindacalisti, ricchi di un patrimonio incontrollabile, che importa del salario di chi lavora? Non hanno mai tutelato le buste paga, hanno sempre preferito tutelare il loro potere. E così sono diventati i signori del No: no allo sviluppo, no al futuro, no, soprattutto, al buon senso. Sono rimasti fermi al Medioevo economico e vorrebbero portarci al seguito. A meno che, per una volta, non siamo noi a dire «no» a loro. Per salvare l’Alitalia ormai è tardi, per salvare l’Italia ancora no.
Mario Giordano
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