di Vittorio Feltri
È finita come immaginavamo: male. I kamikaze della Cgil e dell’Anpac hanno detto no alle offerte della società presieduta da Colaninno e tutto è saltato per aria. Alitalia fallisce e chi s’è visto s’è visto. Il sindacato rosso e quello dei signorini piloti, uniti da un patto scellerato, preferiscono la disoccupazione al lavoro. In questo modo si illudono di aver inferto a Berlusconi un colpo mortale; in realtà hanno ucciso la compagnia aerea, sé stessi e migliaia di dipendenti addetti ai servizi.
Cose che solo in Italia possono succedere a causa di un sindacalismo barricadiero capace di anteporre interessi politici alla vita dei lavoratori. Ma quello di Epifani è un colpo di coda d’una fiera in procinto di tirare le cuoia, un atto di irresponsabilità che la Cgil pagherà caro sempreché il governo all’ultimo momento non cali le brache ma sappia cogliere l’occasione per dire al Paese: ecco con chi abbiamo dovuto fare i conti, gente incosciente pronta a sputare su un impiego sicuro pur di dimostrare la propria presunta onnipotenza.
Berlusconi e la sua cordata a questo punto hanno l’opportunità di imprimere una svolta al costume patrio: rompere il cordone ombelicale tra politica e sindacato relegando il secondo al suo ruolo originario di mediatore, nulla di più. Il cambio di mentalità nelle confederazioni può avvenire anche subito se il Cavaliere e i suoi ministri useranno in questa circostanza il pugno di ferro: non avete voluto firmare il contratto, basta, non se ne fa più niente; non accettiamo ricatti e chiudiamo bottega. Restate disoccupati per colpa vostra, prendetevela con voi stessi e non accampate scuse.
Una lezione del genere non sarà utile a risuscitare la compagnia aerea, ma utilissima per porre fine allo strapotere delle corporazioni e dei loro rappresentanti, convinti sia l’impresa a loro disposizione e non viceversa.
Vanno ribaltati i valori, le priorità e le gerarchie se si desidera restituire all’Italia le condizioni di normalità necessarie alla ripresa.
Guai se la cordata col suffragio del governo facesse macchina indietro. Significherebbe dare ragione ai prepotenti e incoraggiarli a esserlo ancora. Significherebbe una vittoria per questo sindacato giurassico; una vittoria dagli effetti più devastanti del fallimento di Alitalia.
P.S. Un paio di dettagli. Martedì sera a Porta a Porta ho insistito con il comandante sindacalista Berti perché dicesse quanto guadagna. Ma lui non lo ha detto. Però mi aveva promesso: «Domani le mando tutto». Invece non mi ha mandato nulla. Allora mi sono arrangiato e ho scoperto l’arcano. Berti ha uno stipendio annuo di 230 mila euro, escluse indennità di volo eccetera che egli percepisce anche se non vola da anni in quanto sindacalista a tempo pieno.
Secondo dettaglio. Ieri Epifani ha inviato a Colaninno una lettera in cui si dichiarava disposto a firmare. Nel qual caso la trattativa si sarebbe conclusa felicemente e Alitalia si sarebbe salvata. Nel corso della giornata evidentemente il segretario generale ha cambiato idea o qualcuno gliel’ha fatta cambiare sicché la Cgil non ha firmato. Così si va allegramente al fallimento.
Congratulazioni a Berti e a Epifani. Che uomini!
Articolo in PDF:
comments (0)
You must be logged in to post a comment.