di VITTORIO FELTRI


La prima pagina di LiberoNon so fino a che punto gli italiani si appassionino al cosiddetto nuovo corso che sta già diventando vecchio. Molti continuano a non capire la bagarre delle alleanze: questa è l’unica certezza. All’entusiasmo del primo momento è subentrata l’impressione o il sospetto che il cambiamento cambierà poco o niente. Veltroni l’africano, rimpatriato in fretta e furia dal Continente nero dove si era recato col pensiero per mettere a frutto il pensionamento anticipato, ha stupito tutti affermando: il Pd volerà con le sue ali, non accetteremo sostegni. Non aveva ancora finito di dirlo ed è spuntato Di Pietro. Bussa e la porta gli viene aperta. Da Walter. Saranno contenti i magistrati. Ricapitolando: Veltroni non viaggerà in bicicletta ma in tandem e con la toga. De gustibus. Nel centrodestra c’è più confusione che alla Borsa di New York. Una bolgia urlante chiede un posto in lista. Berlusconi non ama dire no ai postulanti e prende tempo, promettendo loro che farà il possibile. E così l’elenco dei pretendenti si allunga col trascorrere delle ore. I nomi sono più di duemila. Alla fine Silvio, scocciato, affiderà a Gianni Letta l’ingrato compito non soltanto di selezionare i meritevoli, ma anche di informare gli esclusi. Il Popolo della Libertà come previsto è rimasto orfano di Pier Ferdinando Casini. Il tiremmolla è durato dieci giorni e ciò non lasciava presagire nulla di buono. Se due sono d’accordo su tutto tranne che sul vino con cui brindare alla sottoscrizione del patto, il problema non è politico ma psichiatrico. Ramo che mi trova impreparato. Osservo con sgomento che l’Udc ha scaricato il Popolo della Libertà, ha scaricato Giovanardi e compagnia, ha scaricato Tabacci e Baccini, ma si è tenuto Cuffaro, quello dei cannoli, ex presidente della Regione Sicilia, felicemente condannato a cinque anni di carcere (in primo grado, auguri per il secondo). Nonostante questo, un sondaggio svolto da un istituto serio attribuisce ai casiniani un potenziale di voti attorno al 6 per cento. Che, se sarà confermato nelle urne, avrà la forza persuasiva di un mitra. Poniamo che il Cavaliere e Fini vincano alla grande alla Camera (è quasi sicuro) e di misura al Senato. Cosa fare per non essere prodizzati? Si va da Pierferdi e gli si propone di aggregarsi. Risposta dell’esule: trattiamo. Quanto vuoi? La luna. Eccoti la luna. È solo un’ipotesi. Però suppongo coincida coi calcoli di Casini di cui si può dire tutto tranne sia affetto da tragica pistolaggine. Semmai in questo caso gioca d’azzardo: o la va o la spacca. Il rischio è elevato e, anche se il piatto è ricco, non so se valga la pena di correrlo. L’ex democristiano aveva l’opportunità di accomodarsi in un grande partito destinato a dominare la scena per parecchi anni (a prescindere dal futuro del fondatore) e l’ha sdegnosamente trascurata per una questione (pretestuosa) di simbolo e di identità. Preferisce buttarsi nella mischia dei nanetti che si azzuffano per conquistarsi lo spazio esiguo riservato al centro. Naturalmente, se gli andrà bene, avrà in mano il mitra del quale dicevamo. Se invece fallirà, dopo un periodo in purgatorio, si presenterà a Canossa. Tertium non datur. Comunque a Berlusconi, ora, non conviene agitarsi e tradire preoccupazione. Con la Lega dalla sua è in una botte di ferro. Se non fa errori, sbanca anche in Senato. Se ne commette e vince di un soffio, le opzioni sono più d’una. Andranno esaminate a spoglio avvenuto. Fermo restando che il Popolo della Libertà e il Partito democratico, pur nella loro improvvisazione, oltre all’oggi sono il domani. I nanetti hanno le gambe corte per definizione e non andranno lontano.

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